venerdì 29 agosto 2008

Hogg, Il linguaggio segreto dei neonati



Il linguaggio segreto dei neonati (Mondadori, 2002, pp. 354, titolo originale: Secrets of Baby Whisperer, 2001) di Tracy Hogg, scritto in collaborazione con Melinda Blau, è davvero un bel libro: una guida ricca di consigli pratici su come affrontare l'arrivo di un neonato (o di un bambino adottivo).

In uno stile improntato ad uno humor e a un pragmatismo tipicamente britannici, Tracy Hogg condivide con i lettori i segreti della sua pluriennale esperienza di puericultrice, dispensando preziosi suggerimenti su come prendersi cura di un neonato (dall'allattamento, al bagnetto, al ruttino, fino allo svezzamento, al riposo, al massaggio) senza diventarne schiavi.

Il metodo propugnato da Tracy Hogg consiste, essenzialmente, nell'instaurare fin da subito una routine organizzata che preveda il regolare alternarsi delle fasi del cibo, dell'attività, del sonno e di momenti di relax per i genitori - di qui la denominazione di metodo E.A.S.Y. ossia eat (mangiare), activity (attività), sleep (sonno) e you (tu, genitore).

La ripetuta suddivisione delle giornate secondo il medesimo schema, da un lato, viene incontro al bisogno di sicurezza del neonato, consentendogli di prevedere sempre ciò che seguirà e, dall'altro, aiuta i genitori a comprendere il comportamento del proprio piccolo e a dignosticare i possibili problemi.

La durata delle singole fasi e il loro svolgimento non sono pianificati in modo rigido, anzi l'a. si limita per lo più a dispensare alcuni consigli e indicazioni di principio, lasciando al buon senso dei genitori il compito di adattarli alle loro esigenze.




Ad esempio, per quanto riguarda il riposo notturno, Tracy Hogg suggerisce:
1) di far dormire fin da subito il bimbo nella sua culla - se lo ospitate una sera nel lettone è ovvio che ci vorrà tornare anche la sera successiva e così via;
2) di metterlo nella culla ai primi segni di stanchezza - perché i neonati, se sono esausti, fanno fatica ad addormentarsi;
3) di inventare un rito della buona notte - un rituale che il bimbo possa facilmente associare al riposo notturno;
4) di non far mai addormentare il bimbo in braccio - perché altrimenti non riuscirà ad addormentarsi in altri modi e dovrete tenerlo così anche quando peserà 13 kili!
5) di non accorre al minimo rumore notturno, concedendo al bimbo il tempo per calmarsi da solo, senza necessità di un appoggio esterno;
6) di non lasciarlo piangere, ma tranquillizzarlo, coccolarlo, finché non si calma (e, quindi, evitare di eccitarlo iniziando a parlare velocemente, magari con aria giocosa) e, una volta che si è calmato, riporlo nella culla e lasciare che si addormenti da solo.
Il punto fondamentale è che ai neonati è necessario insegnare come addormentarsi da soli - e questa è una responsabilità non da poco che esige soprattutto coerenza.

Particolarmente apprezzabile mi è parsa poi la posizione di Tracy Hogg rispetto all'alternativa allattamento al seno/biberon: dopo aver elencato i pro e i contro di entrambi i metodi (e vi assicuro che anche l'allattamente al seno presenta notevoli inconvenienti!), Tracy raccomanda alle future mamme di scegliere liberamente il sistema che meglio si adatta alle loro esigenze e alla loro sensibilità, perché nulla è più foriero di problemi psico-fisici che optare per un dato metodo (normalmente per l'allattamento al seno), senza esserne davvero convinte, ma lasciandosi influenzare da ostetriche, amiche, mariti e incompetenti vari.

Non so ancora se il metodo e.a.s.y. funzionerà - sono solo al settimo mese di gravidanza - ma per lo meno dopo la lettura di questo libro mi sento più tranquilla e un po' meno insicura di fronte a quello che mi aspetta.

Sui bebè consiglio anche di leggere:
L. G. Borgenich, Il bebè, manuale d'istruzioni
E. Estivill, Dormi bambino dormi
Bebè, consigli per l'uso

Hogg, Il linguaggio segreto dei neonati



Il linguaggio segreto dei neonati (Mondadori, 2002, pp. 354, titolo originale: Secrets of Baby Whisperer, 2001) di Tracy Hogg, scritto in collaborazione con Melinda Blau, è davvero un bel libro: una guida ricca di consigli pratici su come affrontare l'arrivo di un neonato (o di un bambino adottivo).

In uno stile improntato ad uno humor e a un pragmatismo tipicamente britannici, Tracy Hogg condivide con i lettori i segreti della sua pluriennale esperienza di puericultrice, dispensando preziosi suggerimenti su come prendersi cura di un neonato (dall'allattamento, al bagnetto, al ruttino, fino allo svezzamento, al riposo, al massaggio) senza diventarne schiavi.

Il metodo propugnato da Tracy Hogg consiste, essenzialmente, nell'instaurare fin da subito una routine organizzata che preveda il regolare alternarsi delle fasi del cibo, dell'attività, del sonno e di momenti di relax per i genitori - di qui la denominazione di metodo E.A.S.Y. ossia eat (mangiare), activity (attività), sleep (sonno) e you (tu, genitore).

La ripetuta suddivisione delle giornate secondo il medesimo schema, da un lato, viene incontro al bisogno di sicurezza del neonato, consentendogli di prevedere sempre ciò che seguirà e, dall'altro, aiuta i genitori a comprendere il comportamento del proprio piccolo e a dignosticare i possibili problemi.

La durata delle singole fasi e il loro svolgimento non sono pianificati in modo rigido, anzi l'a. si limita per lo più a dispensare alcuni consigli e indicazioni di principio, lasciando al buon senso dei genitori il compito di adattarli alle loro esigenze.




Ad esempio, per quanto riguarda il riposo notturno, Tracy Hogg suggerisce:
1) di far dormire fin da subito il bimbo nella sua culla - se lo ospitate una sera nel lettone è ovvio che ci vorrà tornare anche la sera successiva e così via;
2) di metterlo nella culla ai primi segni di stanchezza - perché i neonati, se sono esausti, fanno fatica ad addormentarsi;
3) di inventare un rito della buona notte - un rituale che il bimbo possa facilmente associare al riposo notturno;
4) di non far mai addormentare il bimbo in braccio - perché altrimenti non riuscirà ad addormentarsi in altri modi e dovrete tenerlo così anche quando peserà 13 kili!
5) di non accorre al minimo rumore notturno, concedendo al bimbo il tempo per calmarsi da solo, senza necessità di un appoggio esterno;
6) di non lasciarlo piangere, ma tranquillizzarlo, coccolarlo, finché non si calma (e, quindi, evitare di eccitarlo iniziando a parlare velocemente, magari con aria giocosa) e, una volta che si è calmato, riporlo nella culla e lasciare che si addormenti da solo.
Il punto fondamentale è che ai neonati è necessario insegnare come addormentarsi da soli - e questa è una responsabilità non da poco che esige soprattutto coerenza.

Particolarmente apprezzabile mi è parsa poi la posizione di Tracy Hogg rispetto all'alternativa allattamento al seno/biberon: dopo aver elencato i pro e i contro di entrambi i metodi (e vi assicuro che anche l'allattamente al seno presenta notevoli inconvenienti!), Tracy raccomanda alle future mamme di scegliere liberamente il sistema che meglio si adatta alle loro esigenze e alla loro sensibilità, perché nulla è più foriero di problemi psico-fisici che optare per un dato metodo (normalmente per l'allattamento al seno), senza esserne davvero convinte, ma lasciandosi influenzare da ostetriche, amiche, mariti e incompetenti vari.

Non so ancora se il metodo e.a.s.y. funzionerà - sono solo al settimo mese di gravidanza - ma per lo meno dopo la lettura di questo libro mi sento più tranquilla e un po' meno insicura di fronte a quello che mi aspetta.

Sui bebè consiglio anche di leggere:
L. G. Borgenich, Il bebè, manuale d'istruzioni
E. Estivill, Dormi bambino dormi
Bebè, consigli per l'uso

venerdì 22 agosto 2008

Perry, Contesti



"trattare l'epistemologia del linguaggio senza il contenuto riflessivo, e senza le relazioni tra la conoscenza circa i proferimenti e la conoscenza del mondo che esso riflette, sarebbe una impresa senza speranza di riuscita"
p. 120



Contesti (De Ferrari, Genova, 2002, pp. 159) raccoglie le lezioni tenute da John Perry (professore alla Stanford University) all'Università di Genova nel maggio 2000.

Il libro si incentra principalmente sull'analisi degli indicali. In particolare, i rapporti tra gli indicali e la cognizione, la loro differenza rispetto ai nomi e ai dimostrativi e il problema della co-referenzialità vengono trattati attraverso una teoria riflessivo-referenziale che ammette due livelli di contenuto (anzi, tre, cfr. pp. 79 e 86, ma i più importanti sono due): il contenuto indicale e il contenuto referenziale. Il contenuto indicale è riflessivo (ossia verte sul proferimento di cui fornisce le condizioni di verità) e, secondo Perry, coincide con il contenuto cognitivo. Il contenuto referenziale, invece, coincide con quello che Perry chiama 'contenuto ufficiale', ossia con ciò che il parlante dice. Attraverso tale teoria, e, in particolare, attraverso il contenuto riflessivo (indicale) di asserzioni e credenze, l'a. tenta di integrare il referenzialismo, cui pure aderisce, superandone alcune difficoltà e incongruenze.

Il libro contiene spunti e riflessioni estremamente utili per quanti vogliano approfondire questi temi o iniziare a farsene un'idea. Tuttavia, nonostante l'abbondanza di esempi e una certa ripetitività nei contenuti, non è un testo facile, specie per quanti, come la sottoscritta, non si occupano professionalmente di questi temi.

La terminologia è oscillante e spesso le locuzioni usate non sono rigorosamente definite e le ridefinizioni, quando ci sono, risultano eccessivamente frammentarie - qualche esempio: a p. 99 si usa l'espressione 'contenuto incrementale' mai introdotta e definita prima; rispetto ai contenuti si oscilla continuamente tra definirli come condizioni di verità (es. p. 86) o come proposizioni (es. pp. 79, 115 e passim - è ovvio che per Perry le due cose si equivalgono, ma il lettore gradirebbe qualche lume al riguardo) e, inoltre, non è chiaro che relazione vi sia tra le ridefinizioni dei contenuti incentrate sulle cognizioni dell'ascoltatore (p. 86) e le considerazioni relative alla riflessività; la nozione, pure centrale, di significato cognitivo, non è del tutto chiara; in generale si fatica a cogliere il senso di alcune distinzioni e la portata di alcuni problemi - qualche chiarimento in più sul referenzialismo (e sulla poszione opposta, il descrittivismo) non avrebbe certo guastato. Tutto ciò, lo ripeto, agli occhi di una profana.

E' molto interessante la tesi secondo cui non esistono "le" condizioni di verità in astrazione da ogni contesto, ma bisogna distinguere diversi livelli di condizioni di verità a seconda dell'informazione disponibile. Tuttavia desta qualche perplessità il fatto che Perry parli di condizioni di verità di un enunciato, di un testo - sostenendo che anche di fronte ad un messaggio m scritto in una lingua sconosciuta sia possibile stabilire le condizioni che dovrebbero essere soddisfatte perché m sia vero - "m è vero se c'è una proposizione P, tale che nel linguaggio in cui m è scritto le sue parole hanno un certo significato, e nel contesto in cui m è stato scritto, le parole con quel significato esprimono P, e P è vera" (pp. 83-4).
Normalmente si ritiene, infatti, che gli enunciati non abbiano condizioni di verità, che solo le proposizioni (gli enunciati interpretati) possano essere vere o false. Parlare di condizioni di verità di un testo sembra un modo ellittico di esprimersi: un modo per dire che il testo esprime una proposizione vera. Sotto questo punto di vista, è banale sostenere che un testo è vero solo se esprime proposizione vera - banale ma non corretto, in quanto impreciso.
Altrettanto strano mi sembra parlare di 'condizioni di verità di un proferimento' (espressione che ricorre in continuazione), visto che Perry definisce i proferimenti come "atti intenzionali" (p. 34).

In ogni caso credo che il problema maggiore di questo libro consista nel fatto che esso raccoglie dei testi presentati oralmente senza rielaborarli in modo adeguato, senza amalgamarli così da renderli adatti al formato testuale e pienamente fruibili anche per il lettore che, a differenza degli studenti presenti a lezione, non può avvantaggiarsi di ulteriori chiarimenti.

Infine, a p. 115 o c'è un (5) al posto di un (T) e un (4) al posto di un (5) oppure io non ho capito nulla - e non è affatto improbabile che sia la seconda.

Perry, Contesti



"trattare l'epistemologia del linguaggio senza il contenuto riflessivo, e senza le relazioni tra la conoscenza circa i proferimenti e la conoscenza del mondo che esso riflette, sarebbe una impresa senza speranza di riuscita"
p. 120



Contesti (De Ferrari, Genova, 2002, pp. 159) raccoglie le lezioni tenute da John Perry (professore alla Stanford University) all'Università di Genova nel maggio 2000.

Il libro si incentra principalmente sull'analisi degli indicali. In particolare, i rapporti tra gli indicali e la cognizione, la loro differenza rispetto ai nomi e ai dimostrativi e il problema della co-referenzialità vengono trattati attraverso una teoria riflessivo-referenziale che ammette due livelli di contenuto (anzi, tre, cfr. pp. 79 e 86, ma i più importanti sono due): il contenuto indicale e il contenuto referenziale. Il contenuto indicale è riflessivo (ossia verte sul proferimento di cui fornisce le condizioni di verità) e, secondo Perry, coincide con il contenuto cognitivo. Il contenuto referenziale, invece, coincide con quello che Perry chiama 'contenuto ufficiale', ossia con ciò che il parlante dice. Attraverso tale teoria, e, in particolare, attraverso il contenuto riflessivo (indicale) di asserzioni e credenze, l'a. tenta di integrare il referenzialismo, cui pure aderisce, superandone alcune difficoltà e incongruenze.

Il libro contiene spunti e riflessioni estremamente utili per quanti vogliano approfondire questi temi o iniziare a farsene un'idea. Tuttavia, nonostante l'abbondanza di esempi e una certa ripetitività nei contenuti, non è un testo facile, specie per quanti, come la sottoscritta, non si occupano professionalmente di questi temi.

La terminologia è oscillante e spesso le locuzioni usate non sono rigorosamente definite e le ridefinizioni, quando ci sono, risultano eccessivamente frammentarie - qualche esempio: a p. 99 si usa l'espressione 'contenuto incrementale' mai introdotta e definita prima; rispetto ai contenuti si oscilla continuamente tra definirli come condizioni di verità (es. p. 86) o come proposizioni (es. pp. 79, 115 e passim - è ovvio che per Perry le due cose si equivalgono, ma il lettore gradirebbe qualche lume al riguardo) e, inoltre, non è chiaro che relazione vi sia tra le ridefinizioni dei contenuti incentrate sulle cognizioni dell'ascoltatore (p. 86) e le considerazioni relative alla riflessività; la nozione, pure centrale, di significato cognitivo, non è del tutto chiara; in generale si fatica a cogliere il senso di alcune distinzioni e la portata di alcuni problemi - qualche chiarimento in più sul referenzialismo (e sulla poszione opposta, il descrittivismo) non avrebbe certo guastato. Tutto ciò, lo ripeto, agli occhi di una profana.

E' molto interessante la tesi secondo cui non esistono "le" condizioni di verità in astrazione da ogni contesto, ma bisogna distinguere diversi livelli di condizioni di verità a seconda dell'informazione disponibile. Tuttavia desta qualche perplessità il fatto che Perry parli di condizioni di verità di un enunciato, di un testo - sostenendo che anche di fronte ad un messaggio m scritto in una lingua sconosciuta sia possibile stabilire le condizioni che dovrebbero essere soddisfatte perché m sia vero - "m è vero se c'è una proposizione P, tale che nel linguaggio in cui m è scritto le sue parole hanno un certo significato, e nel contesto in cui m è stato scritto, le parole con quel significato esprimono P, e P è vera" (pp. 83-4).
Normalmente si ritiene, infatti, che gli enunciati non abbiano condizioni di verità, che solo le proposizioni (gli enunciati interpretati) possano essere vere o false. Parlare di condizioni di verità di un testo sembra un modo ellittico di esprimersi: un modo per dire che il testo esprime una proposizione vera. Sotto questo punto di vista, è banale sostenere che un testo è vero solo se esprime proposizione vera - banale ma non corretto, in quanto impreciso.
Altrettanto strano mi sembra parlare di 'condizioni di verità di un proferimento' (espressione che ricorre in continuazione), visto che Perry definisce i proferimenti come "atti intenzionali" (p. 34).

In ogni caso credo che il problema maggiore di questo libro consista nel fatto che esso raccoglie dei testi presentati oralmente senza rielaborarli in modo adeguato, senza amalgamarli così da renderli adatti al formato testuale e pienamente fruibili anche per il lettore che, a differenza degli studenti presenti a lezione, non può avvantaggiarsi di ulteriori chiarimenti.

Infine, a p. 115 o c'è un (5) al posto di un (T) e un (4) al posto di un (5) oppure io non ho capito nulla - e non è affatto improbabile che sia la seconda.

domenica 17 agosto 2008

Dostoevskij, Delitto e castigo

"Mi si presentò d'un tratto chiaro come il sole: come mai nessuno, finora, passando accanto a tutta quella assurdità, non aveva osato e non osava prender semplicemente il tutto per la coda e liberarsene, mandandolo al diavolo! Io...io ho voluto osare e ho ucciso..ho voluto soltanto osare, Sònja, ecco la ragione vera"





In una afosa estate pietroburghese, il giovane Raskòl'nikov, un ex studente, povero di mezzi, che ha abbandonato l'università più per ignavia che per difficoltà economiche, commette un omicidio che ad occhi razionali sembra non aver altra ragione che la sua punizione.
Una punizione, un castigo, che Raskòl'nikov in apparenza vorrebbe evitare, ma verso cui in realtà egli stesso precipita, che egli stesso causa nel suo tormentato delirio febbrile.

Un romanzo psicologico, dove la mente umana, più che indagata al microscopio, è dipinta con le tinte forti e i tratti spessi di un Van Gogh - i personaggi che animano la Pietroburgo povera e degrata di Delitto e castigo sono tutti, in qualche modo, eccessivi nel loro intreccio di isterie e contraddizioni.

La cifra universale della letteratura di Dostoevskij sembra risiedere nella universale follia umana.

Insieme a L'Idiota e a I Fratelli Karamàzos è, a mio giudizio, uno dei più bei romanzi di Dostoevskij, nonché un capolavoro della letteratura di tutti i tempi.

Ecco i link ad alcune delle più interessanti recensioni online:
la presentazione di Dostoevskij (nella sua lettera a Michail Nikiforovic)
la recensione di Pier Paolo Pasolini
Lankelot
Lettera22

Dostoevskij, Delitto e castigo

"Mi si presentò d'un tratto chiaro come il sole: come mai nessuno, finora, passando accanto a tutta quella assurdità, non aveva osato e non osava prender semplicemente il tutto per la coda e liberarsene, mandandolo al diavolo! Io...io ho voluto osare e ho ucciso..ho voluto soltanto osare, Sònja, ecco la ragione vera"





In una afosa estate pietroburghese, il giovane Raskòl'nikov, un ex studente, povero di mezzi, che ha abbandonato l'università più per ignavia che per difficoltà economiche, commette un omicidio che ad occhi razionali sembra non aver altra ragione che la sua punizione.
Una punizione, un castigo, che Raskòl'nikov in apparenza vorrebbe evitare, ma verso cui in realtà egli stesso precipita, che egli stesso causa nel suo tormentato delirio febbrile.

Un romanzo psicologico, dove la mente umana, più che indagata al microscopio, è dipinta con le tinte forti e i tratti spessi di un Van Gogh - i personaggi che animano la Pietroburgo povera e degrata di Delitto e castigo sono tutti, in qualche modo, eccessivi nel loro intreccio di isterie e contraddizioni.

La cifra universale della letteratura di Dostoevskij sembra risiedere nella universale follia umana.

Insieme a L'Idiota e a I Fratelli Karamàzos è, a mio giudizio, uno dei più bei romanzi di Dostoevskij, nonché un capolavoro della letteratura di tutti i tempi.

Ecco i link ad alcune delle più interessanti recensioni online:
la presentazione di Dostoevskij (nella sua lettera a Michail Nikiforovic)
la recensione di Pier Paolo Pasolini
Lankelot
Lettera22

giovedì 7 agosto 2008

Mljet






Il parco naturale situato nella zona nord-occidentale dell'isola croata di Mljet (in italiano: Meleda) è un autentico paradiso di solitudine, tranquillità e splendide acque cristalline.




Al centro di questa zona si trovano due ampi golfi - chiamati laghi salati ma si tratta, in realtà, di ampie insenature aperte sul mare - al loro interno le acque sono tranquille e calde, mentre se si esce verso il mare aperto - proseguendo a piedi dopo la piccola località di Soline Village - l'acqua si fa gelida, mossa e trasparente (foto) - amando poco i laghi e molto il mare, questa è stata senza dubbio la mia meta preferita: se frequentate questa zona però state attenti ai ricci di mare, ce ne sono a milioni!




All'interno del parco è rigorosamente vietato l'uso dell'automobile - salvo che per i residenti e per coloro che abbiamo prenotato un alloggio all'interno del parco stesso, i quali, comunque, possono usarla solo per entrare e uscire.




I laghi salati si possono visitare noleggiando una canoa - ma c'è un solo noleggiatore e dista circa venti minuti in bicicletta dall'entrata del parco - una mountain bike oppure semplicemente passeggiando tra i sentieri ombreggiati circondati da pini marittimi. I percorsi sono quasi tutti in pianura e per nulla faticosi - e ve lo dico dopo averli affrontati al sesto mese di gravidanza.



L'aspetto più piacevole del parco naturale di Mljet è, senza dubbio, la tranquillità: non capita spesso di potersi godere sole e mare in una splendida cornice naturale senza una folla di gente intorno.

Per saperne di più su quest'isola e sul suo parco naturale vi consiglio di consultare, sul sito Isole Croazia, l'articolo su Mljet dove potrete trovare anche utilissime informazioni pratiche.

Mljet






Il parco naturale situato nella zona nord-occidentale dell'isola croata di Mljet (in italiano: Meleda) è un autentico paradiso di solitudine, tranquillità e splendide acque cristalline.




Al centro di questa zona si trovano due ampi golfi - chiamati laghi salati ma si tratta, in realtà, di ampie insenature aperte sul mare - al loro interno le acque sono tranquille e calde, mentre se si esce verso il mare aperto - proseguendo a piedi dopo la piccola località di Soline Village - l'acqua si fa gelida, mossa e trasparente (foto) - amando poco i laghi e molto il mare, questa è stata senza dubbio la mia meta preferita: se frequentate questa zona però state attenti ai ricci di mare, ce ne sono a milioni!




All'interno del parco è rigorosamente vietato l'uso dell'automobile - salvo che per i residenti e per coloro che abbiamo prenotato un alloggio all'interno del parco stesso, i quali, comunque, possono usarla solo per entrare e uscire.




I laghi salati si possono visitare noleggiando una canoa - ma c'è un solo noleggiatore e dista circa venti minuti in bicicletta dall'entrata del parco - una mountain bike oppure semplicemente passeggiando tra i sentieri ombreggiati circondati da pini marittimi. I percorsi sono quasi tutti in pianura e per nulla faticosi - e ve lo dico dopo averli affrontati al sesto mese di gravidanza.



L'aspetto più piacevole del parco naturale di Mljet è, senza dubbio, la tranquillità: non capita spesso di potersi godere sole e mare in una splendida cornice naturale senza una folla di gente intorno.

Per saperne di più su quest'isola e sul suo parco naturale vi consiglio di consultare, sul sito Isole Croazia, l'articolo su Mljet dove potrete trovare anche utilissime informazioni pratiche.

martedì 5 agosto 2008

Sarajevo




Se la periferia è un susseguirsi di casermoni in stile socialismo reale, il centro storico di Sarajevo, coi suoi minareti, gli orefici, le botteghe di pelletteria e di tappeti, i tavolini all'aperto e l'odore di carne alla brace, ha un'aria decisamente orientale.



Ecco un elenco di quello che mi è piaciuto di più:

  • La facciata della biblioteca nazionale, uno splendido edificio in stile austro-ungarico, incendiato il 25 agosto 1992 con il suo inestimabile patrimonio di manoscritti e documenti antichi – una delle tante cicatrici della guerra che Sarajevo si porta ancora addosso.



  • Il ćevapčići (salsicciotti di carne di agnello servita in pite con cipolla tritata), il burec (torta di carne tritata) e, soprattutto, la zeljanica, ossia la variante vegetariana del burec, con formaggio e bietole (tutti dicono che siano spinaci, ma a me parevano proprio bietole). Tutti e tre i piatti si gustano bevendo yogurt in bicchieri o vasetti di plastica– a me lo yogurt piace anche mettercelo sopra, ma non sono certa che questo comportamento non sia assimilabile a quello di certi americani che condiscono gli spaghetti col ketchup.



Per il ćevapčići consiglio lo storico Željo (in Bravadžiluk bb, in pieno centro pedonale), anche se il servizio è un po' rude e si pratica un serrato turn over; per il burec e la zeljanica è ottimo il Kod Seje (in Mula Mustafe Bašeskije, proprio alle spalle della cattedrale), un locale per niente turistico dove entrambi i piatti vengono cotti sotto le braci di carbone (foto) – e dietro al banco c'è una signora simpatica che si ostina a parlare tedesco con tutti i turisti.




  • Il caffè bosniaco (simile a quello turco), specie quello che servono al Tunel (foto) un baretto tradizionale in piazza Sebilj.


Abbiamo soggiornato alla Guest House Halvat (140 Km per una doppia) che consiglio vivamente per le belle stanze, la ricca colazione e l'atmosfera accogliente.

Tra i ristoranti mi è piaciuto molto l'Inat Kuća (in Velika Alifakovac 1), un grazioso locale su tre piani, arredato in legno, che si affaccia sul fiume e serve degli ottimi piatti tipici (foto)



Al To be or not to be si gusta dell'ottima carne, ma la cucina è internazionale.

Vale la pena andare a piedi fino al Park Prinčeva (Iza Hidra 7) per unire al piacere di una stupenda vista su tutta Sarajevo, quello di una gita in un piacevole quartiere per nulla turistico – anche la cucina è piuttosto buona, benché il rapporto qualità-prezzo non sia dei migliori, ma qui si paga soprattutto il panorama (foto).


L'unica nota negativa: il clima – a fine luglio pioveva in continuazione e c'era freddo.

Su questo viaggio attraverso i balcani, ecco i post di zack:
viaggio nei balcani in auto
balcani 2008 #1




Sarajevo




Se la periferia è un susseguirsi di casermoni in stile socialismo reale, il centro storico di Sarajevo, coi suoi minareti, gli orefici, le botteghe di pelletteria e di tappeti, i tavolini all'aperto e l'odore di carne alla brace, ha un'aria decisamente orientale.



Ecco un elenco di quello che mi è piaciuto di più:

  • La facciata della biblioteca nazionale, uno splendido edificio in stile austro-ungarico, incendiato il 25 agosto 1992 con il suo inestimabile patrimonio di manoscritti e documenti antichi – una delle tante cicatrici della guerra che Sarajevo si porta ancora addosso.



  • Il ćevapčići (salsicciotti di carne di agnello servita in pite con cipolla tritata), il burec (torta di carne tritata) e, soprattutto, la zeljanica, ossia la variante vegetariana del burec, con formaggio e bietole (tutti dicono che siano spinaci, ma a me parevano proprio bietole). Tutti e tre i piatti si gustano bevendo yogurt in bicchieri o vasetti di plastica– a me lo yogurt piace anche mettercelo sopra, ma non sono certa che questo comportamento non sia assimilabile a quello di certi americani che condiscono gli spaghetti col ketchup.



Per il ćevapčići consiglio lo storico Željo (in Bravadžiluk bb, in pieno centro pedonale), anche se il servizio è un po' rude e si pratica un serrato turn over; per il burec e la zeljanica è ottimo il Kod Seje (in Mula Mustafe Bašeskije, proprio alle spalle della cattedrale), un locale per niente turistico dove entrambi i piatti vengono cotti sotto le braci di carbone (foto) – e dietro al banco c'è una signora simpatica che si ostina a parlare tedesco con tutti i turisti.




  • Il caffè bosniaco (simile a quello turco), specie quello che servono al Tunel (foto) un baretto tradizionale in piazza Sebilj.


Abbiamo soggiornato alla Guest House Halvat (140 Km per una doppia) che consiglio vivamente per le belle stanze, la ricca colazione e l'atmosfera accogliente.

Tra i ristoranti mi è piaciuto molto l'Inat Kuća (in Velika Alifakovac 1), un grazioso locale su tre piani, arredato in legno, che si affaccia sul fiume e serve degli ottimi piatti tipici (foto)



Al To be or not to be si gusta dell'ottima carne, ma la cucina è internazionale.

Vale la pena andare a piedi fino al Park Prinčeva (Iza Hidra 7) per unire al piacere di una stupenda vista su tutta Sarajevo, quello di una gita in un piacevole quartiere per nulla turistico – anche la cucina è piuttosto buona, benché il rapporto qualità-prezzo non sia dei migliori, ma qui si paga soprattutto il panorama (foto).


L'unica nota negativa: il clima – a fine luglio pioveva in continuazione e c'era freddo.

Su questo viaggio attraverso i balcani, ecco i post di zack:
viaggio nei balcani in auto
balcani 2008 #1