giovedì 19 marzo 2009

Sciascia, Todo modo

«...Ricorda il Vangelo di Luca? L'ha mai letto?..."Io sono venuto a portare fuoco sulla terra; e che voglio, se già divampa? Ora devo essere battezzato di un battesimo, e come sono angustiato fin tanto che ciò non si compia"»
«Quale battesimo aspetta?»
«Il dolore, la morte, non ce n'è altro»
«Ma per aspettare questo battesimo, che bisogno c'è di tutto questo? Che bisogno ha lei di fare un albergo, di amministrarlo, di fare e amministrare tante altre cose? Che bisogno hanno i suoi amici di governare, di comandare: con la sua benedizione se non addirittura per suo mandato?»
«Questa volta tocca a me protestare: non sono miei amici. Ma sono anche loro il fuoco che divampa. E per quanto li disprezzi, al tempo stesso che li amo: "che voglio, se già divampa?"»




Un famoso pittore s'imbatte in un eremo trasformato in albergo, dove alcuni importanti uomini di potere stanno per riunirsi per una settimana di esercizi spirituali: decide di assistervi per pura curiosità (curiosità che non verrà delusa).

Todo modo di Leonardo Sciascia (pubblicato per la prima volta nel 1974) ruota essenzialmente intorno alla figura di Don Gaetano, proprietario dell'eremo (e di molte altre cose) e direttore del ritiro spirituale: un prete coltissimo, potente e di raffinata intelligenza.
Don Gaetano è un personaggio poco realistico e decisamente metaforico (se non metafisico): è l'Avversario, è un autentico Cuore di tenebra, estirpato dalle foreste di Conrad e calato in abito talare. La sua ricerca del potere non pare motivata da avidità o sete di gloria personale, ma, piuttosto, da una sua personale visione dell'ordine - anzi, del disordine, dell'anarchia - del mondo e della storia. Se questo romanzo può essere letto come una denuncia dell'ingerenza della Chiesa negli affari di Stato (che, peraltro, nel romanzo sono gestiti da uomini corrotti e mediocri), di certo non è solo questo.

Dialoghi non banali, personaggi ben costruiti, un finale non così scontato come si teme..eppure questo librettino mi ha causato una noia tremenda. Forse è l'impeccabile scrittura di Sciascia a non avermi entusiasmato o forse è la trama ad essere (volutamente) poco appassionante.

mercoledì 4 marzo 2009

Siracusa


Vacanza di una settimana con bebè (di 3 mesi). Abbiamo affittato una casa privata nel cuore di Ortigia, lo splendido centro storico di Siracusa - la casa di Jan (JanSheehyDuc@aol.com), ma, se gli scrivete, fatelo in inglese - L'arredamento è in stile "casa della nonna", ma l'abitazione è spaziosa, ha una bella vista mare, un piccolo terrazzo dove nei mesi caldi si può mangiare ed è fornita di lettino per bimbi- e Linette (che ci accoglie) è una signora cortese, che parla bene italiano ed è anche autrice di un libro di ricette (in bella mostra sul tavolino del salone).



Ortigia non è proprio agevole da girare col passeggino: quasi non vi sono zone pedonali, il traffico non è intenso, ma, in compenso, i marciapiedi sono strettissimi e il posteggio è selvaggio. Sulla passeggiata mare o in piazza duomo si può finalmente passeggiare con tranquillità - ma tenete conto che anche ai primi di marzo c'era un sole cocente - cappellino e crema solare sono d'obbligo per i piccoletti!
I bagni dei locali pubblici sono normalmente angusti ed è assolutamente impossibile trovarvi un angolo per un improvvisato fasciatoio - i ristoratori e i baristi, però, sono gentilissimi, vi scaldano con piacere il biberon e spesso si offrono anche di cullare il bebè.
In generale, tutti gli esercenti di locali pubblici e tutti gli abitanti che abbiamo incrociato si sono dimostrati molto affabili: è una città dove il turista è ben voluto.



Quello che mi è piaciuto di più:
1. vagare per Ortigia, perdersi tra i vicoli, le piazzette e poi, dietro un angolo, improvvisamente il mare;


2. sorseggiare un caffè (o magari un cannolo) a un tavolino della barocca piazza del duomo, godendosi la prospettiva, il sole e il sapore;


3. il parco archeologico di Siracusa: l'orecchio di Dionigi, l'anfiteatro romano e soprattutto il teatro greco (dove pare che siano stati rappresentati per la prima volta I persiani di Eschilo) - certo, il tutto non è tenuto benissimo: alcuni percorsi sono chiusi e manca qualsiasi didascalia;


4. la cucina siciliana: in particolare quella della trattoria La foglia (fantastiche le zuppe, i taglierini alle sarde, le acciughe ed anche la torta al limone) e dell'osteria Mariano che propone piatti tipici dei monti Iblei



Molto piacevole anche l'escursione a Palazzolo Acreide - nel piccolo scavo archeologico si può ammirare un teatro greco ed è possibile anche entrare nelle catacombe scavate nella roccia. Qui abbiamo gustato la miglior cucina di tutta la vacanza: al ristorante Andrea - davvero imperdibile!

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martedì 3 marzo 2009

Sofri, La notte che Pinelli


In La notte che Pinelli, Adriano Sofri ricostruisce, attraverso un accurato esame di atti giudiziari, articoli di giornali e testimonianze, gli ultimi giorni del ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli - indagato per la strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969 (16 morti, decine di feriti), trattenuto (ben oltre il fermo consentito per legge) dalla sera del 12 alle prime ore del 16 dicembre, quando morì precipitando da una finestra del quarto piano della questura (per l'esattezza, dall'ufficio del commissario Luigi Calabresi).

Dalla ricostruzione di Sofri, non emerge nessuna verità (la morte di Pinelli resta un mistero), solo molte menzogne - quelle degli agenti coinvolti e dei loro capi (Calabresi e Allegra in primis) - che dichiarano, si contraddicono, ritrattano, vedono e non vedono - e, soprattutto, si comportano in modo inspiegabile e inspiegato - un fatto tra tanti: nessuno degli agenti presenti nella stanza al momento della caduta di Pinelli scende per accertarsi delle sue condizioni (se è vivo o morto) - perchè? Difficile non pensare che avessero altri più urgenti problemi da discutere, come concordare una versione sull'accaduto - una prima versione, raffazzonata nell'ansia concitata del momento (quella di Pinelli che, falsamente informato della confessione di Valpreda, si suicida al grido di 'L'anarchia è morta'), poi smentita, perché proprio non coincideva con la cronologia dei fatti.

Nemmeno la magistratura ne esce indenne - il castello di fumo e falsità culmina con la scandalosa sentenza di Gerardo D'Ambrosio - sì, proprio lui, l'eroe di "mani pulite". E dico 'scandalosa' da un punto di vista esclusivamente giuridico: D'Ambrosio (dopo una lunga inchiesta che lo stesso Soffri elogia per l'accuratezza) accoglie un'ipotesi, quella della caduta causata da un malore attivo, che non solo non era stata adombrata da nessun testimone e da nessuna perizia, ma, anzi, è in contrasto con tutte le deposizioni ed anche con un parere medico - quando le gambe cedono si cade indietro, non in avanti (nè tanto meno si riesce a spalancare repentinamente l'anta di una finestra!)



Sofri, indirizzando il libro ad una ragazza di vent'anni, tenta anche di ricostruire, spiegare, il clima di quegli anni - gli anni delle stragi di Stato, della strategia della tensione, delle piazze piene - ma non so quanto questa parte della sua impresa possa dirsi riuscita. Piuttosto consiglierei questo libro per approfondire un evento, la morte di Pinelli, che già la mia generazione conosce così poco, ed anche per leggere l'oggi attraverso i fatti di ieri.
Ed è una lettura sconfortante, o, almeno, che a me è sembrata tale.

L'epoca delle stragi di stato (e delle stragi e basta) è finita (almeno a casa nostra), ma anche quella delle piazze gremite - certo, continuano gli appelli accorati, e continuano a cadere nel nulla. Gli indagati si buttano ancora, sia pur raramente, dalle finestre delle questure, più spesso scivolano per le scale (continuo a chiedermi perché nessun avvocato intenti causa per responsabilità da cose in custodia, ex art. 2051 c.c.). La magistratura - che qualche volta ci sembra, o ci è sembrata, l'ultimo baluardo dello stato di diritto e che in molti vorremmo autonoma dal governo - delude ogni volta che si trova a giudicare gli apparati istituzionali (e le forze dell'ordine in particolare) - come è accaduto di recente con la sentenza Diaz.

E soprattutto il potere è sempre lo stesso e sul conto di chi ce l'ha in mano non c'è da farsi illusioni. Al riguardo vorrei riprendere un documento citato da Sofri, che mi ha lasciato a dir poco sbalordita. Si tratta della dichiarazione di Giovanni Pellegrino, ex presidente della commissione stragi, che, a proposito di piazza Fontana, afferma

L'attività di depistaggio dell'Ufficio Affari Riservati del ministero degli Interni non è sufficiente ad individuare nell'amministrazione del Viminalel'origine del mandato stragista. Per l'idea che mi sono fatto di Federico Umberto D'Amato, capo di quell'ufficio, direi che con ogni probabilità D'Amato avrà ritenuto un grave errore mettere la bomba nella banca o almeno farla esplodere quando la banca non era deserta