giovedì 20 novembre 2008

Il paradosso di Moore


«By “philosopher’s paradoxes” I mean (roughly) the kind of philosophical utterances which a layman be expected to find at first absurd, shocking, and repugnant»
Paul Grice, Moore and Philosopher’s Paradoxes, p. 154.




La filosofia analitica s'impernia sulle intuizioni linguistiche che costituiscono spesso sia l'oggetto che lo strumento della sua indagine - e ciò crea non pochi problemi, anche per la vischiosità del concetto di intuizione, per il suo inevitabile trasfigurarsi nel punto di vista soggettivo del ricercatore.
E che fare quando il ricercatore suddetto scopre che intuizioni linguistiche che credeva ampiamente condivise invece non sono tali?

In questi giorni a chi mi chiede cosa faccio, rispondo che mi sto dedicando al paradosso di Moore, ossia a leggere saggi che analizzano le ragioni per cui ci sembrano assurde, paradossali, affermazioni come 'Piove, ma non ci credo' o 'Piove, ma credo che non piova'.
Ebbene, un numero impressionante di persone mi risponde che simili asserzioni non gli sembrano affatto strane. Possibile?! Certo, in genere, dopo un po' riesco a convincerle: a convincerle, appunto, altro che intuizione linguistica!

Bibliografia essenziale sul paradosso di Moore
Albritton, Rogers (1995), Comments on “Moore’s Paradox and Self-Knowledge”, in “Philosophical Studies”, 77, pp. 229-239.
Atlas, Jay D. (2005), Logic, Meaning and Conversation, Oxford university Press, Oxford.
Black, Max (1952), Saying and Disbelieving, in "Analysis", 13(2), pp. 25-33.
Davidson, Donald (1981), Communication and Convention, in Davidson (1984), pp. 265-80; trad. it. Comunicazione e convenzione, in Davidson (1994), pp. 361-379.
Davidson, Donald (1984), Inquires into Truth and Interpretation, OUP, Oxford.
Davidson, Donald (1994), Verità e interpretazione, Il Mulino, Bologna.
Dummett, Michael (1959), Truth, in “Proceedings of the aristotelian society”; ried. in Dummett (1978); trad. it. La verità in Dummett (1986), pp. 68-92.
Dummett, Michael (1973), Frege: Philosophy of Language, Duckworth, London; trad. it. parziale Dummett (1983).
Dummett, Michael (1978), Truth and Other Enigmas, Duckworth, London; trad. it. Dummett (1986).
Dummett, Michael (1983), Filosofia del linguaggio. Saggio su Frege, Marietti, Casale Monferrato.
Dummett, Michael (1986), La verità ed altri enigmi, Il saggiatore, Milano.
Green, Mitchell S. / Williams, John N. (2007), Moore's Paradox: New Essays on Belief, Rationality and the First-Person, OUP, Oxford.
Grice, Paul H. (1989), Further Notes on Logic and Conversation, in Grice, Studies in the Way of Words, Harvard University Press, Cambridge-London, pp. 41-57.
Heal, Jane (1994), Moore's Paradox: A Wittgensteinian Approach, in "Mind", CIII, 409, pp. 5-24.
Koethe, John (1978), A Note on Moore's Paradox, in "Philosophical Studies", 34, pp. 303-310.
Moore, G.E., A Reply to my Critics, in Schilpp (ed.) (1942), II ed., pp. 533-677.
Rosenthal, David M. (1995a), Self-Knowledge and Moore’s Paradox, in “Philosophical Studies”, 77, pp. 195-209.
Rosenthal, David M. (1995b), Moore’s Paradox and Consciousness, in “Philosophical Perspectives”, 9, pp. 313-333.
Schilpp, Paul Arthur (ed.) (1942), The philosophy of G.E. Moore, Tudor Publishing Company, New York, II ed., 1952.
Shoemaker, Sidney (1995), Moore’s Paradox and Self-Knowledge, in “Philosophical Studies”, 77, pp. 211-228.
Sorensen, Roy (1988), Blindspots, OUP, Oxford.
Wittgenstein, Ludwig (1953), Philosophische Untersuchungen, Basil Blackwell, Oxford; trad. it. Wittgenstein (1967).
Wittgenstein, Ludwig (1967), Ricerche filosofiche, Einaudi, Torino, II ed., 1995.


Consiglio anche di dare un'occhiata alla voce inglese di wikipedia che mi sembra proprio ben fatta.

Il paradosso di Moore


«By “philosopher’s paradoxes” I mean (roughly) the kind of philosophical utterances which a layman be expected to find at first absurd, shocking, and repugnant»
Paul Grice, Moore and Philosopher’s Paradoxes, p. 154.




La filosofia analitica s'impernia sulle intuizioni linguistiche che costituiscono spesso sia l'oggetto che lo strumento della sua indagine - e ciò crea non pochi problemi, anche per la vischiosità del concetto di intuizione, per il suo inevitabile trasfigurarsi nel punto di vista soggettivo del ricercatore.
E che fare quando il ricercatore suddetto scopre che intuizioni linguistiche che credeva ampiamente condivise invece non sono tali?

In questi giorni a chi mi chiede cosa faccio, rispondo che mi sto dedicando al paradosso di Moore, ossia a leggere saggi che analizzano le ragioni per cui ci sembrano assurde, paradossali, affermazioni come 'Piove, ma non ci credo' o 'Piove, ma credo che non piova'.
Ebbene, un numero impressionante di persone mi risponde che simili asserzioni non gli sembrano affatto strane. Possibile?! Certo, in genere, dopo un po' riesco a convincerle: a convincerle, appunto, altro che intuizione linguistica!

Bibliografia essenziale sul paradosso di Moore
Albritton, Rogers (1995), Comments on “Moore’s Paradox and Self-Knowledge”, in “Philosophical Studies”, 77, pp. 229-239.
Atlas, Jay D. (2005), Logic, Meaning and Conversation, Oxford university Press, Oxford.
Black, Max (1952), Saying and Disbelieving, in "Analysis", 13(2), pp. 25-33.
Davidson, Donald (1981), Communication and Convention, in Davidson (1984), pp. 265-80; trad. it. Comunicazione e convenzione, in Davidson (1994), pp. 361-379.
Davidson, Donald (1984), Inquires into Truth and Interpretation, OUP, Oxford.
Davidson, Donald (1994), Verità e interpretazione, Il Mulino, Bologna.
Dummett, Michael (1959), Truth, in “Proceedings of the aristotelian society”; ried. in Dummett (1978); trad. it. La verità in Dummett (1986), pp. 68-92.
Dummett, Michael (1973), Frege: Philosophy of Language, Duckworth, London; trad. it. parziale Dummett (1983).
Dummett, Michael (1978), Truth and Other Enigmas, Duckworth, London; trad. it. Dummett (1986).
Dummett, Michael (1983), Filosofia del linguaggio. Saggio su Frege, Marietti, Casale Monferrato.
Dummett, Michael (1986), La verità ed altri enigmi, Il saggiatore, Milano.
Green, Mitchell S. / Williams, John N. (2007), Moore's Paradox: New Essays on Belief, Rationality and the First-Person, OUP, Oxford.
Grice, Paul H. (1989), Further Notes on Logic and Conversation, in Grice, Studies in the Way of Words, Harvard University Press, Cambridge-London, pp. 41-57.
Heal, Jane (1994), Moore's Paradox: A Wittgensteinian Approach, in "Mind", CIII, 409, pp. 5-24.
Koethe, John (1978), A Note on Moore's Paradox, in "Philosophical Studies", 34, pp. 303-310.
Moore, G.E., A Reply to my Critics, in Schilpp (ed.) (1942), II ed., pp. 533-677.
Rosenthal, David M. (1995a), Self-Knowledge and Moore’s Paradox, in “Philosophical Studies”, 77, pp. 195-209.
Rosenthal, David M. (1995b), Moore’s Paradox and Consciousness, in “Philosophical Perspectives”, 9, pp. 313-333.
Schilpp, Paul Arthur (ed.) (1942), The philosophy of G.E. Moore, Tudor Publishing Company, New York, II ed., 1952.
Shoemaker, Sidney (1995), Moore’s Paradox and Self-Knowledge, in “Philosophical Studies”, 77, pp. 211-228.
Sorensen, Roy (1988), Blindspots, OUP, Oxford.
Wittgenstein, Ludwig (1953), Philosophische Untersuchungen, Basil Blackwell, Oxford; trad. it. Wittgenstein (1967).
Wittgenstein, Ludwig (1967), Ricerche filosofiche, Einaudi, Torino, II ed., 1995.


Consiglio anche di dare un'occhiata alla voce inglese di wikipedia che mi sembra proprio ben fatta.

venerdì 14 novembre 2008

sentenza Diaz: che vergogna!

"Certo bisogna farne di strada da una ginnastica di obbedienza
fino ad un gesto molto più umano che ti dia il senso della violenza,
però bisogna farne altrettanta per diventare così coglioni
da non riuscire più a capire che non ci sono poteri buoni
"
Fabrizio De André, Nella mia ora di libertà



Il Tribunale di Genova ha assolto per le violenze perpetrate all'interno della scuola Diaz il 21 luglio 2001 i vertici della polizia: Franco Gratteri (a destra nella foto sotto), oggi direttore dell'anticrimine, Gianni Luperi, attuale capo del Dipartimento di analisi dell'Aisi (ex Sisde, il servizio segreto civile) e Gilberto Calderozzi, oggi capo dello SCO (servizio centrale operativo della polizia).



Dei 29 imputati 16 sono stati assolti: i 13 condannati sono tutti componenti del Settimo nucleo mobile di Roma, che fece di fatto irruzione all'interno della scuola.

Tra questi sono stati condannati a quattro anni (di cui tre condonati) l'allora capo del nucleo mobile Vincenzo Canterini (accusato di calunnia, falso ideologico e lesioni), e, rispettivamente, a tre anni e a due anni e sei mesi Pietro Troiani e Michele Burgio, ambedue imputati di calunnia, falso ideologico e violazione della legge sulle armi per aver introdotto bombe molotov all'interno della scuola.


Insomma la tesi accolta dai giudici è che le violenze e i falsi commessi furono un'iniziativa esclusiva del nucleo mobile di Roma, coperta (ma non ordinata) dal suo capo Canterini e in alcun modo appoggiata dai vertici delle forze dell'ordine.

Personalmente non ho seguito abbastanza da vicino il processo per sapere se vi fossero o no prove decisive a favore di un coinvolgimento dei capi della polizia (e, in particolare, di Gratteri, Luperi e Calderozzi), ma quello che certamente colpisce è la mitezza delle pene.

Un esempio tra tanti: Vincenzo Canterini è stato condannato a quattro anni di reclusione (di cui tre condonati) per concorso di falso ideologico e calunnia, quando (ex artt. 476-479 c.p.) il solo falso ideologico prevede una pena fino a 6 anni.

Anche se la ricostruzione dei giudici fosse esatta, se non ci fosse stato alcun "complotto", se non ci fosse mai stato alcun ordine di entrare e massacrare, costruendo false prove per giustificare le violenze perpetrate, la vicenda sarebbe comunque gravissima, costituendo una chiara testimonianza della propensione delle nostre forze dell'ordine ad abusare dei proprio poteri, commettendo lesioni e delitti vari nei confronti delle persone inerti sottoposte alla loro autorità - perché come ho sentito più volte ripetere nelle aule di giustizia genovesi all'indomani dei fatti della Diaz e di Bolzaneto, queste cose in questura succedono tutti i giorni.
E a ben vedere lo scandalo è proprio che di questo non ci si scandalizzi più di questo - che gli stessi giudici, una volta ricostruita la vicenda nei termini di ordinario abuso di potere poliziesco, decidano di infliggere pene all'acqua di rose.

Tutto ciò, ripeto, a voler credere alla buona fede dei magistrati e c'è chi, molto più informato di me sulle vicende processuali, non ci crede affatto - come Beirut o le altre persone impegnate nel supporto legale.



Ad aggravare il senso di farsa si aggiunge poi anche il condono (frutto questo di scelte politiche e non giurisdizionali): dei complessivi 35 anni e sette mesi di reclusione inflitti ai 13 condannati, ben 32 anni e sei mesi sono stati condonati.

Insomma, dopo i complimenti politici e le promozioni, adesso sopraggiunge anche l'assoluzione giudiziaria, a sancire l'irrilevanza pubblica (istituzionale, politica e, adesso, giurisdizionale) di un evento che sconvolse una generazione (la mia) o, meglio, quanti di quella generazione all'epoca nutrivano qualche illusione nello stato di diritto e nella partecipazione democratica.


sentenza Diaz: che vergogna!

"Certo bisogna farne di strada da una ginnastica di obbedienza
fino ad un gesto molto più umano che ti dia il senso della violenza,
però bisogna farne altrettanta per diventare così coglioni
da non riuscire più a capire che non ci sono poteri buoni
"
Fabrizio De André, Nella mia ora di libertà



Il Tribunale di Genova ha assolto per le violenze perpetrate all'interno della scuola Diaz il 21 luglio 2001 i vertici della polizia: Franco Gratteri (a destra nella foto sotto), oggi direttore dell'anticrimine, Gianni Luperi, attuale capo del Dipartimento di analisi dell'Aisi (ex Sisde, il servizio segreto civile) e Gilberto Calderozzi, oggi capo dello SCO (servizio centrale operativo della polizia).



Dei 29 imputati 16 sono stati assolti: i 13 condannati sono tutti componenti del Settimo nucleo mobile di Roma, che fece di fatto irruzione all'interno della scuola.

Tra questi sono stati condannati a quattro anni (di cui tre condonati) l'allora capo del nucleo mobile Vincenzo Canterini (accusato di calunnia, falso ideologico e lesioni), e, rispettivamente, a tre anni e a due anni e sei mesi Pietro Troiani e Michele Burgio, ambedue imputati di calunnia, falso ideologico e violazione della legge sulle armi per aver introdotto bombe molotov all'interno della scuola.


Insomma la tesi accolta dai giudici è che le violenze e i falsi commessi furono un'iniziativa esclusiva del nucleo mobile di Roma, coperta (ma non ordinata) dal suo capo Canterini e in alcun modo appoggiata dai vertici delle forze dell'ordine.

Personalmente non ho seguito abbastanza da vicino il processo per sapere se vi fossero o no prove decisive a favore di un coinvolgimento dei capi della polizia (e, in particolare, di Gratteri, Luperi e Calderozzi), ma quello che certamente colpisce è la mitezza delle pene.

Un esempio tra tanti: Vincenzo Canterini è stato condannato a quattro anni di reclusione (di cui tre condonati) per concorso di falso ideologico e calunnia, quando (ex artt. 476-479 c.p.) il solo falso ideologico prevede una pena fino a 6 anni.

Anche se la ricostruzione dei giudici fosse esatta, se non ci fosse stato alcun "complotto", se non ci fosse mai stato alcun ordine di entrare e massacrare, costruendo false prove per giustificare le violenze perpetrate, la vicenda sarebbe comunque gravissima, costituendo una chiara testimonianza della propensione delle nostre forze dell'ordine ad abusare dei proprio poteri, commettendo lesioni e delitti vari nei confronti delle persone inerti sottoposte alla loro autorità - perché come ho sentito più volte ripetere nelle aule di giustizia genovesi all'indomani dei fatti della Diaz e di Bolzaneto, queste cose in questura succedono tutti i giorni.
E a ben vedere lo scandalo è proprio che di questo non ci si scandalizzi più di questo - che gli stessi giudici, una volta ricostruita la vicenda nei termini di ordinario abuso di potere poliziesco, decidano di infliggere pene all'acqua di rose.

Tutto ciò, ripeto, a voler credere alla buona fede dei magistrati e c'è chi, molto più informato di me sulle vicende processuali, non ci crede affatto - come Beirut o le altre persone impegnate nel supporto legale.



Ad aggravare il senso di farsa si aggiunge poi anche il condono (frutto questo di scelte politiche e non giurisdizionali): dei complessivi 35 anni e sette mesi di reclusione inflitti ai 13 condannati, ben 32 anni e sei mesi sono stati condonati.

Insomma, dopo i complimenti politici e le promozioni, adesso sopraggiunge anche l'assoluzione giudiziaria, a sancire l'irrilevanza pubblica (istituzionale, politica e, adesso, giurisdizionale) di un evento che sconvolse una generazione (la mia) o, meglio, quanti di quella generazione all'epoca nutrivano qualche illusione nello stato di diritto e nella partecipazione democratica.


domenica 9 novembre 2008

De Cataldo, Romanzo criminale



Ispirato alla vera storia della banda della Magliana, Romanzo criminale di Giancarlo de Cataldo (giudice della Corte d'Assise romana) racconta l'ascesa e il dominio di una potente organizzazione criminale nella Roma degli anni di piombo, tra corruzione, legami mafiosi, servizi segreti ed intrecci con le più sanguinose vicende italiane (l'omicidio Moro, la strage di Bologna, l'uccisione di Dalla Chiesa e i tanti altri oscuri avvenimenti di quegl'anni).

Lo stile asciutto, la narrazione pulita, la caratterizzazione precisa dei personaggi, ne fanno uno strano e riuscitissimo ibrido tra cronaca giudiziaria e racconto epico, dove mito e realtà si compenetrano, lasciando il lettore a domandarsi cosa sia davvero successo e cosa, invece, sia frutto di invenzione.

E tutto ciò è assolutamente voluto. In un'intervista a Nino G. D'Attis, Giancarlo de Cataldo ha, infatti, dichiarato:
L’errore di fondo sta nel considerare Romanzo Criminale come una storia della Banda della Magliana. Prima ancora che dai rapporti giudiziari e dalle sentenze, la vera storia di questa holding criminale è stata ottimamente scritta da Bianconi, Flamini e altri. Il compito del narratore è di tradire la storia (che sarebbe bella cosa, diceva Tolstoi, se solo fosse vera) piegandola alle esigenze del Mito. Estrarre dai nudi fatti una linea metaforica e mitologica e puntare al cuore di una falsa storia: per ciò stesso più vera, e comunque più convincente, di quella ‘ufficiale’.




Sul versante realtà, affiora a tratti nel romanzo una discussione sui temi del garantismo penale, legata anche all'introduzione in Italia del sistema accusatorio (con la riforma del codice di procedura penale del 1988) - purtroppo però gli unici punti di vista riportati sono quelli dello sbirro Scialoja (che ha ben pochi scrupoli morali ed è fermamente convinto che i problemi della giustizia si riducano all'avere troppi delinquenti liberi) e del colluso avvocato Vasta (preoccupato solo di tenere in libertà i suoi clienti criminali). Come ogni buon giudice, De Cataldo è attentissimo nel non far trapelare il suo punto di vista.

Sul versante invenzione, lascia perplessi che il coinvolgimento dei servizi segreti si limiti a poche frange devianti, oltrettutto orbitanti intorno ad un unico personaggio (peraltro magistralmente descritto): il Vecchio, un eccentrico uomo di potere che gioca con la storia, perseguendo un personalissimo disegno di caos e anarchia - giustamente paragonato al dr. Stranamore (che vuole la bomba per la bomba).

Dal libro sono stati tratti l'omonimo film di Michele Placido e la serie TV in onda su Sky dal 10 novembre. Nel 2007 è uscito il seguito di Romanzo criminale: Nelle mani giuste.


De Cataldo, Romanzo criminale



Ispirato alla vera storia della banda della Magliana, Romanzo criminale di Giancarlo de Cataldo (giudice della Corte d'Assise romana) racconta l'ascesa e il dominio di una potente organizzazione criminale nella Roma degli anni di piombo, tra corruzione, legami mafiosi, servizi segreti ed intrecci con le più sanguinose vicende italiane (l'omicidio Moro, la strage di Bologna, l'uccisione di Dalla Chiesa e i tanti altri oscuri avvenimenti di quegl'anni).

Lo stile asciutto, la narrazione pulita, la caratterizzazione precisa dei personaggi, ne fanno uno strano e riuscitissimo ibrido tra cronaca giudiziaria e racconto epico, dove mito e realtà si compenetrano, lasciando il lettore a domandarsi cosa sia davvero successo e cosa, invece, sia frutto di invenzione.

E tutto ciò è assolutamente voluto. In un'intervista a Nino G. D'Attis, Giancarlo de Cataldo ha, infatti, dichiarato:
L’errore di fondo sta nel considerare Romanzo Criminale come una storia della Banda della Magliana. Prima ancora che dai rapporti giudiziari e dalle sentenze, la vera storia di questa holding criminale è stata ottimamente scritta da Bianconi, Flamini e altri. Il compito del narratore è di tradire la storia (che sarebbe bella cosa, diceva Tolstoi, se solo fosse vera) piegandola alle esigenze del Mito. Estrarre dai nudi fatti una linea metaforica e mitologica e puntare al cuore di una falsa storia: per ciò stesso più vera, e comunque più convincente, di quella ‘ufficiale’.




Sul versante realtà, affiora a tratti nel romanzo una discussione sui temi del garantismo penale, legata anche all'introduzione in Italia del sistema accusatorio (con la riforma del codice di procedura penale del 1988) - purtroppo però gli unici punti di vista riportati sono quelli dello sbirro Scialoja (che ha ben pochi scrupoli morali ed è fermamente convinto che i problemi della giustizia si riducano all'avere troppi delinquenti liberi) e del colluso avvocato Vasta (preoccupato solo di tenere in libertà i suoi clienti criminali). Come ogni buon giudice, De Cataldo è attentissimo nel non far trapelare il suo punto di vista.

Sul versante invenzione, lascia perplessi che il coinvolgimento dei servizi segreti si limiti a poche frange devianti, oltrettutto orbitanti intorno ad un unico personaggio (peraltro magistralmente descritto): il Vecchio, un eccentrico uomo di potere che gioca con la storia, perseguendo un personalissimo disegno di caos e anarchia - giustamente paragonato al dr. Stranamore (che vuole la bomba per la bomba).

Dal libro sono stati tratti l'omonimo film di Michele Placido e la serie TV in onda su Sky dal 10 novembre. Nel 2007 è uscito il seguito di Romanzo criminale: Nelle mani giuste.