mercoledì 28 maggio 2008

Canetti, Auto da fé



"Basta chiamare le cose con il loro nome, e subito esse perdono il loro pericoloso potere magico. L'uomo primitivo dava a ogni cosa il nome sbagliato, ed era in balia di un unico terribile incantesimo: dove e quando non si sentiva minacciato?"






Auto da fé (Die Blendung, 1935), è il primo romanzo di Elias Canetti (premio Nobel per la letteratura nel 1981): una storia stramba, popolata da strambe creature, da un'umanità meschina e deforme (nel corpo e nello spirito).

Canetti l'ha definito una "Comédie humaine dei folli": un'etichetta quanto mai appropriata. Tutti i personaggi sono pazzi devoti alla loro personale ossessione, egoisti che temono e disprezzano tutti quelli che li circondano e vivono nella più totale inconsapevolezza della loro immoralità e abiezione - sempre pronti ad assolversi e a condannare tutti gli altri.

Il dott. Peter Kien, innanzitutto, il più grande sinologo della sua epoca, un misantropo e, soprattutto, un misogeno, che da sempre ama solo e soltanto i libri (specialmente i suoi) - un perfetto idiota che ha sempre condotto un'esistenza più rigida di Kant e che quando è spinto, dalle circostanze e dalla sua stupidità, ad abbandonare le sue abitudini ed a entrare nel mondo, rivela tutta la sua idiozia, la sua incapacità di vivere e comprendere la realtà che gli sta intorno. E poi Therese, l'antogonista di Kien, sua governante e poi moglie, una donna gretta, di un perbenismo ipocrita e volgare; e il signor Pfaff, il gallo rosso, il portiere violento e spregevole; e poi Fischerle, un nano gobbo e imbroglione che disprezza gli storpi e si culla nell'illusione di poter diventare campione mondiale di scacchi. Forse l'unico personaggio vagamente positivo è il prof. George Kien (fratello di Peter), non a caso uno psichiatra, affascinato dalla follia, dai suoi pazienti, da cui vuole imparare senza curarli.

I riflettori della narrazione si accendono a turno su tutti questi personaggi illuminandone le vicende, i pensieri e i sogni - in un flusso narrativo continuo e impetuoso.
Difficile dare un giudizio su questo romanzo - che a tratti ricorda e anticipa, specie per le stranezze dei protagonisti, il Boris Vian di L'autunno a Pechino o il Queneau di Zazie sul metro, ma se ne differenzia nettamente per lo sguardo cinico, più che ironico, per l'impietosa messa a nudo di tutta la miseria umana.
Dirò solo che da metà libro in poi ho fatto un po' fatica, la storia ha iniziato ad annoiarmi, la mia passione è scemata e ho perso interesse per le follie dei protagonisti. Non che la narrazione subisca un qualche sbalzo o scenda di tono, anzi; piuttosto è che queste storie di(a) pazzi all'inizio entusiasmano, ma, passata la sorpresa iniziale, tendono fisiologicamente a risultare un po' scontate. A tutto ci si abitua, anche alla follia.

Canetti, Auto da fé



"Basta chiamare le cose con il loro nome, e subito esse perdono il loro pericoloso potere magico. L'uomo primitivo dava a ogni cosa il nome sbagliato, ed era in balia di un unico terribile incantesimo: dove e quando non si sentiva minacciato?"






Auto da fé (Die Blendung, 1935), è il primo romanzo di Elias Canetti (premio Nobel per la letteratura nel 1981): una storia stramba, popolata da strambe creature, da un'umanità meschina e deforme (nel corpo e nello spirito).

Canetti l'ha definito una "Comédie humaine dei folli": un'etichetta quanto mai appropriata. Tutti i personaggi sono pazzi devoti alla loro personale ossessione, egoisti che temono e disprezzano tutti quelli che li circondano e vivono nella più totale inconsapevolezza della loro immoralità e abiezione - sempre pronti ad assolversi e a condannare tutti gli altri.

Il dott. Peter Kien, innanzitutto, il più grande sinologo della sua epoca, un misantropo e, soprattutto, un misogeno, che da sempre ama solo e soltanto i libri (specialmente i suoi) - un perfetto idiota che ha sempre condotto un'esistenza più rigida di Kant e che quando è spinto, dalle circostanze e dalla sua stupidità, ad abbandonare le sue abitudini ed a entrare nel mondo, rivela tutta la sua idiozia, la sua incapacità di vivere e comprendere la realtà che gli sta intorno. E poi Therese, l'antogonista di Kien, sua governante e poi moglie, una donna gretta, di un perbenismo ipocrita e volgare; e il signor Pfaff, il gallo rosso, il portiere violento e spregevole; e poi Fischerle, un nano gobbo e imbroglione che disprezza gli storpi e si culla nell'illusione di poter diventare campione mondiale di scacchi. Forse l'unico personaggio vagamente positivo è il prof. George Kien (fratello di Peter), non a caso uno psichiatra, affascinato dalla follia, dai suoi pazienti, da cui vuole imparare senza curarli.

I riflettori della narrazione si accendono a turno su tutti questi personaggi illuminandone le vicende, i pensieri e i sogni - in un flusso narrativo continuo e impetuoso.
Difficile dare un giudizio su questo romanzo - che a tratti ricorda e anticipa, specie per le stranezze dei protagonisti, il Boris Vian di L'autunno a Pechino o il Queneau di Zazie sul metro, ma se ne differenzia nettamente per lo sguardo cinico, più che ironico, per l'impietosa messa a nudo di tutta la miseria umana.
Dirò solo che da metà libro in poi ho fatto un po' fatica, la storia ha iniziato ad annoiarmi, la mia passione è scemata e ho perso interesse per le follie dei protagonisti. Non che la narrazione subisca un qualche sbalzo o scenda di tono, anzi; piuttosto è che queste storie di(a) pazzi all'inizio entusiasmano, ma, passata la sorpresa iniziale, tendono fisiologicamente a risultare un po' scontate. A tutto ci si abitua, anche alla follia.

sabato 10 maggio 2008

Heinlein, Starship Troopers

"Ne conseguì l'affermazione secondo cui tutte le guerre nascono da un'esplosione demografica (già, anche le crociate, per quanto occorra approfondire le motivazioni commerciali, il carattere dell'incremento delle nascite e un sacco di altre cose per poterlo dimostrare).
Tutte le regole morali hanno come matrice l'istinto di conservazione. Il comportamento morale può essere manifestato solo da chi si eleva al di sopra del livello dell'individuo, come un padre che muore per salvare il figlio"




Starship Troopers (1959) di Robert A. Heinlein è un avvincente romanzo di fantascienza, retto però da un'intollerabile e intollerante spirito militarista, tutto "patria, famiglia, bandiera", e da un'etica unilaterale e manicheista.

Nel futuro il diritto di voto (attivo e passivo) e la connessa qualifica di cittadini sono riservati a quei terrestri che abbiano svolto almeno due anni di servizio militare.
Juan Rico, terminata l'Università, si arruola, più per seguire gli amici e far colpo su una ragazza che per convinzione personale, ma ben presto lo spirito della fanteria spaziale mobile lo assorbe e lo contagia.

In questo universo dove la filosofia morale è considerata una scienza esatta, al pari della matematica, e chi non condivide i valori dominanti è escluso dalla vita politica, l'esercito terrestre è costantemente impegnato in più o meno impegnative missioni belliche contro soggetti riottosi - alieni che in qualche modo non hanno rispettato l'autorità degli umani.
Insomma, domani come oggi, il compito di mantenere l'ordine è affidato, non alla diplomazia, ma alla forza degli eserciti.

Ben presto scoppia però una vera e propria guerra contro gli intelligenti abitanti di Klendathu, che si spingono fino a distruggere alcune città terresti: i nostri nemici sono mostruosi ragni giganti, organizzati secondo un sistema comunista che non attribuisce alcun valore all'individuo - non per nulla il romanzo è stato scritto in piena guerra fredda.

Gli insopportabili pistolotti pseudo-filosofici con cui si giustifica il regime politico in mano agli ex-militari e si esalta la violenza come strumento educativo e mezzo per risolvere ogni conflitto fanno di Heinlein un precursore dei sogni più segreti degli attuali neo-con americani - ma solo perché manca un'esaltazione esplicita della razza umana e dell'impero terrestre, altrimenti l'etichetta di neo-nazista non gliela toglierebbe nessuno.

Da questo romanzo è stato tratto l'omonimo film del 1997 Starship Troopers (uscito in Italia con il titolo Fanteria dello spazio).

Heinlein, Starship Troopers

"Ne conseguì l'affermazione secondo cui tutte le guerre nascono da un'esplosione demografica (già, anche le crociate, per quanto occorra approfondire le motivazioni commerciali, il carattere dell'incremento delle nascite e un sacco di altre cose per poterlo dimostrare).
Tutte le regole morali hanno come matrice l'istinto di conservazione. Il comportamento morale può essere manifestato solo da chi si eleva al di sopra del livello dell'individuo, come un padre che muore per salvare il figlio"




Starship Troopers (1959) di Robert A. Heinlein è un avvincente romanzo di fantascienza, retto però da un'intollerabile e intollerante spirito militarista, tutto "patria, famiglia, bandiera", e da un'etica unilaterale e manicheista.

Nel futuro il diritto di voto (attivo e passivo) e la connessa qualifica di cittadini sono riservati a quei terrestri che abbiano svolto almeno due anni di servizio militare.
Juan Rico, terminata l'Università, si arruola, più per seguire gli amici e far colpo su una ragazza che per convinzione personale, ma ben presto lo spirito della fanteria spaziale mobile lo assorbe e lo contagia.

In questo universo dove la filosofia morale è considerata una scienza esatta, al pari della matematica, e chi non condivide i valori dominanti è escluso dalla vita politica, l'esercito terrestre è costantemente impegnato in più o meno impegnative missioni belliche contro soggetti riottosi - alieni che in qualche modo non hanno rispettato l'autorità degli umani.
Insomma, domani come oggi, il compito di mantenere l'ordine è affidato, non alla diplomazia, ma alla forza degli eserciti.

Ben presto scoppia però una vera e propria guerra contro gli intelligenti abitanti di Klendathu, che si spingono fino a distruggere alcune città terresti: i nostri nemici sono mostruosi ragni giganti, organizzati secondo un sistema comunista che non attribuisce alcun valore all'individuo - non per nulla il romanzo è stato scritto in piena guerra fredda.

Gli insopportabili pistolotti pseudo-filosofici con cui si giustifica il regime politico in mano agli ex-militari e si esalta la violenza come strumento educativo e mezzo per risolvere ogni conflitto fanno di Heinlein un precursore dei sogni più segreti degli attuali neo-con americani - ma solo perché manca un'esaltazione esplicita della razza umana e dell'impero terrestre, altrimenti l'etichetta di neo-nazista non gliela toglierebbe nessuno.

Da questo romanzo è stato tratto l'omonimo film del 1997 Starship Troopers (uscito in Italia con il titolo Fanteria dello spazio).

sabato 3 maggio 2008

Silverberg, L'uomo nel labirinto

"Il mio messaggio è questo: è una fortuna per l'umanità che ciascuno di noi resti chiuso nella propria testa, perchè se avessimo anche solo una quantità minima di telepatia, anche solo quella confusa, non verbale, che ho io, non potremmo sopportarci a vicenda.
La società umana sarebbe impossibile
"





L'uomo nel labirinto
(1969) di Robert Silverberg non è certo uno dei 10 romanzi di fantascienza più belli che abbia mai letto - l'idea di fondo non è di quelle particolarmente folgoranti, gli sviluppi narrativi sono piuttosto prevedibili e c'è qualche velleità filosofica di troppo - ma è comunque un bel libro, avvicente, ben scritto e ben tradotto, di quelli che si leggono d'un fiato.

Dick Muller è un mediatore, un uomo che vaga per lo spazio a dirimere conflitti tra le colonie umane disseminate per la galassia, ed è anche il primo terrestre ad essere entrato in contatto con una razza aliena intelligente, gli abitanti di Beta Hydri IV. E' un novello Ulisse, animato da una sete inesauribile di conoscenza, che si è spinto troppo lontano oltre le colonne d'Ercole ed ha ricevuto un dono che lo rende disgustoso e insopportabile per tutti i suoi simili - una sventura che Muller vive come una vera e propria maledizione divina, una punizione per la sua hybris.

Per sfuggire gli umani che lo sfuggono Muller decide allora di nascondendersi nel labirinto di Lemnos: nella città costruita da una civiltà ormai scomparsa e circondata da un dedalo di trappole mortali. Ma dopo 9 anni di isolamento, una spedizione giunge per stanarlo: gli uomini, che non ne sopportano la presenza, hanno di nuovo bisogno di lui.

La vera abilità di Robert Silverberg, più che nel tratteggiare le psicologie dei suoi personaggi o nell'ideare trame, consiste nell'inventare mondi: nell'immaginare ambientazioni fantastiche, città, vegetazioni e fauna aliene, descritte in modo nitido e realistico. La città di Lenmos con la sua architettura surreale e le belve feroci, l'atmosfera cupa e nuvolosa e i funghi giganti di Beta Hydri IV, l'ottavo mondo di Alfa Centauri B coi suoi laghi di metano liquido e le spiagge di ammoniaca sono tra le tante indimenticabili invenzioni di questo geniale creatore di pianeti.









Silverberg, L'uomo nel labirinto

"Il mio messaggio è questo: è una fortuna per l'umanità che ciascuno di noi resti chiuso nella propria testa, perchè se avessimo anche solo una quantità minima di telepatia, anche solo quella confusa, non verbale, che ho io, non potremmo sopportarci a vicenda.
La società umana sarebbe impossibile
"





L'uomo nel labirinto
(1969) di Robert Silverberg non è certo uno dei 10 romanzi di fantascienza più belli che abbia mai letto - l'idea di fondo non è di quelle particolarmente folgoranti, gli sviluppi narrativi sono piuttosto prevedibili e c'è qualche velleità filosofica di troppo - ma è comunque un bel libro, avvicente, ben scritto e ben tradotto, di quelli che si leggono d'un fiato.

Dick Muller è un mediatore, un uomo che vaga per lo spazio a dirimere conflitti tra le colonie umane disseminate per la galassia, ed è anche il primo terrestre ad essere entrato in contatto con una razza aliena intelligente, gli abitanti di Beta Hydri IV. E' un novello Ulisse, animato da una sete inesauribile di conoscenza, che si è spinto troppo lontano oltre le colonne d'Ercole ed ha ricevuto un dono che lo rende disgustoso e insopportabile per tutti i suoi simili - una sventura che Muller vive come una vera e propria maledizione divina, una punizione per la sua hybris.

Per sfuggire gli umani che lo sfuggono Muller decide allora di nascondendersi nel labirinto di Lemnos: nella città costruita da una civiltà ormai scomparsa e circondata da un dedalo di trappole mortali. Ma dopo 9 anni di isolamento, una spedizione giunge per stanarlo: gli uomini, che non ne sopportano la presenza, hanno di nuovo bisogno di lui.

La vera abilità di Robert Silverberg, più che nel tratteggiare le psicologie dei suoi personaggi o nell'ideare trame, consiste nell'inventare mondi: nell'immaginare ambientazioni fantastiche, città, vegetazioni e fauna aliene, descritte in modo nitido e realistico. La città di Lenmos con la sua architettura surreale e le belve feroci, l'atmosfera cupa e nuvolosa e i funghi giganti di Beta Hydri IV, l'ottavo mondo di Alfa Centauri B coi suoi laghi di metano liquido e le spiagge di ammoniaca sono tra le tante indimenticabili invenzioni di questo geniale creatore di pianeti.