martedì 29 aprile 2008

Buzzati, Un amore

"Ancora quella sensazione di essere entrato in un sogno sbagliato e non adatto a lui, e una forza di gran lunga superiore alla sua volontà e alle sue convinzioni lo trascina via quasi egli fosse un povero disgraziato qualsiasi e non un uomo di cinquant'anni, con la sua rispettata posizione nel mondo"






Una delle cifre dei grandi scrittori è la capacità di raccontare storie universali, storie in cui ognuno di noi riesce a rispecchiarsi - a immedesimarsi, ma anche riconoscersi - pur se non le ha mai vissute. Qui poi è la storia più universale di tutte, la storia di un amore - uno tra i tanti, di quelli con la 'a' rigorosamente minuscola propria delle passioni sfrenate che possono nascere solo per chi non le ricambia - e proprio per la sua dimensione universale, perchè tutti più o meno ci si sono trovati in mezzo, è una storia così difficile da raccontare. E Dino Buzzati è bravissimo a farlo.

Un amore (1963) narra di Antonio Dorigo, un affermato architetto di 49 anni, uno scapolo che ha sempre avuto problemi a intrecciare relazioni amorose o anche solo sessuali, che s'innamora come un'adolescente, senza apparenti ragioni, di una prostituta di nemmeno 20 anni (né bella, né simpatica, né intelligente) che non lo ricambia affatto.

La dinamica dell'innamoramento e i tormenti della gelosia mi hanno ricordato la passione di Swann per Odette (o quella dello stesso Marcel per Albertine) - ma è solo un caso, è solo la stessa eterna storia che si ripete.

Per Antonio si apre un (prevedibile) baratro di umiliazioni, inganni, tormenti, gelosie e degradazione: un caduta di cui egli si rende perfettamente conto, ma che non riesce ad impedire. E nell'inevitabile placarsi finale della tempesta non c'è nessuna pace, solo senso di vuoto e futilità. La vita è passata.

La narrazione, fluida, a tratti concitata, mischia, senza soluzione di continuità, il punto di vista esterno e oggettivo con le riflessione del protagonista - riportate con lo stile di un ininterrotto flusso di coscienza, talvolta delirante, giustamente incurante della sintassi, dove non manca qualche intersezione onirica. Il risultato è quello di una completa sumpateia con questo patetico uomo di mezza età - una immedesimazione totale e crudele, come un brutto ricordo.

Come nel più famoso Il deserto dei Tartari, anche qui Buzzati è un maestro nel descrivere l'incapacità di vivere: il senso di sconforto dell'essere uno spettatore impotente della propria esistenza.


In questo blog di Buzzati è recensito anche Sessanta racconti


Buzzati, Un amore

"Ancora quella sensazione di essere entrato in un sogno sbagliato e non adatto a lui, e una forza di gran lunga superiore alla sua volontà e alle sue convinzioni lo trascina via quasi egli fosse un povero disgraziato qualsiasi e non un uomo di cinquant'anni, con la sua rispettata posizione nel mondo"






Una delle cifre dei grandi scrittori è la capacità di raccontare storie universali, storie in cui ognuno di noi riesce a rispecchiarsi - a immedesimarsi, ma anche riconoscersi - pur se non le ha mai vissute. Qui poi è la storia più universale di tutte, la storia di un amore - uno tra i tanti, di quelli con la 'a' rigorosamente minuscola propria delle passioni sfrenate che possono nascere solo per chi non le ricambia - e proprio per la sua dimensione universale, perchè tutti più o meno ci si sono trovati in mezzo, è una storia così difficile da raccontare. E Dino Buzzati è bravissimo a farlo.

Un amore (1963) narra di Antonio Dorigo, un affermato architetto di 49 anni, uno scapolo che ha sempre avuto problemi a intrecciare relazioni amorose o anche solo sessuali, che s'innamora come un'adolescente, senza apparenti ragioni, di una prostituta di nemmeno 20 anni (né bella, né simpatica, né intelligente) che non lo ricambia affatto.

La dinamica dell'innamoramento e i tormenti della gelosia mi hanno ricordato la passione di Swann per Odette (o quella dello stesso Marcel per Albertine) - ma è solo un caso, è solo la stessa eterna storia che si ripete.

Per Antonio si apre un (prevedibile) baratro di umiliazioni, inganni, tormenti, gelosie e degradazione: un caduta di cui egli si rende perfettamente conto, ma che non riesce ad impedire. E nell'inevitabile placarsi finale della tempesta non c'è nessuna pace, solo senso di vuoto e futilità. La vita è passata.

La narrazione, fluida, a tratti concitata, mischia, senza soluzione di continuità, il punto di vista esterno e oggettivo con le riflessione del protagonista - riportate con lo stile di un ininterrotto flusso di coscienza, talvolta delirante, giustamente incurante della sintassi, dove non manca qualche intersezione onirica. Il risultato è quello di una completa sumpateia con questo patetico uomo di mezza età - una immedesimazione totale e crudele, come un brutto ricordo.

Come nel più famoso Il deserto dei Tartari, anche qui Buzzati è un maestro nel descrivere l'incapacità di vivere: il senso di sconforto dell'essere uno spettatore impotente della propria esistenza.


In questo blog di Buzzati è recensito anche Sessanta racconti


venerdì 25 aprile 2008

25 aprile a Milano

"Ognuno riconosce i suoi: l'orgoglio non era fuga, l'umiltà non era vile, il tenue bagliore strofinato laggiù non era quello di un fiammifero"
E. Montale, Piciccolo testamento



























25 aprile a Milano

"Ognuno riconosce i suoi: l'orgoglio non era fuga, l'umiltà non era vile, il tenue bagliore strofinato laggiù non era quello di un fiammifero"
E. Montale, Piciccolo testamento



























giovedì 17 aprile 2008

Oz, Non dire notte

Adesso trova giusto il deserto, ha ragione il chiaro di luna. Davanti a lui, alla finestra, tre o quattro stelle intense sopra le colline. Sottovoce dice, Ora si respira




Non dire notte di Amos Oz è un romanzo lento, meditativo, una narrazione quasi priva di eventi e colpi di scena, affidata unicamente ad una scrittura sobria, fluida e introspettiva - un romanzo di quelli che non appassionano alle prime pagine, anzi, ad essere sincera, non mi ha appasionato affatto - forse non l'ho letto nel momento giusto, qualche volta succede.

Non dire notte è incentraro sulla relazione amorosa tra Theo, una sorta di eroe nazionale, e Noa, un'insegnante di liceo di 15 anni più giovane, entrambi mediamente tormentati. Ma è anche il dipinto di Tel Kedar, una giovane cittadina israeliana ai margini del deserto - un luogo inventato, modellato sull'immagine di Arad, dove vive Amos Oz.
Le bufere di sabbia, il caldo estivo, la tranquilla vita di provincia e i suoi personaggi (più o meno comuni, più o meno credibili e più o meno annoiati) sono i co-protagonisti di questo romanzo - a loro sono dedicate alcune delle pagine più belle, tutte ispirate però ad un amore incondizionato, incapace di indagare o anche solo di vedere i lati oscuri di uno stile di vita che, ad altri occhi, potrebbe apparire anche borghese e mediocre.

Amos Oz ha definito Non dire notte "una storia da tardo pomeriggio nella vita di un uomo e di una donna" e la definizione non poteva essere più azzeccata. Non solo Theo è nel tardo pomeriggio della sua vita e anche Noa non è più giovanissima - ma è proprio il ritmo del racconto ad essere pigro e lento come quello di un tardo pomeriggio estivo in cui non succede assolutamente nulla - ma ci si tormenta un po' l'anima, giusto per riempire il tempo.

Oz, Non dire notte

Adesso trova giusto il deserto, ha ragione il chiaro di luna. Davanti a lui, alla finestra, tre o quattro stelle intense sopra le colline. Sottovoce dice, Ora si respira




Non dire notte di Amos Oz è un romanzo lento, meditativo, una narrazione quasi priva di eventi e colpi di scena, affidata unicamente ad una scrittura sobria, fluida e introspettiva - un romanzo di quelli che non appassionano alle prime pagine, anzi, ad essere sincera, non mi ha appasionato affatto - forse non l'ho letto nel momento giusto, qualche volta succede.

Non dire notte è incentraro sulla relazione amorosa tra Theo, una sorta di eroe nazionale, e Noa, un'insegnante di liceo di 15 anni più giovane, entrambi mediamente tormentati. Ma è anche il dipinto di Tel Kedar, una giovane cittadina israeliana ai margini del deserto - un luogo inventato, modellato sull'immagine di Arad, dove vive Amos Oz.
Le bufere di sabbia, il caldo estivo, la tranquilla vita di provincia e i suoi personaggi (più o meno comuni, più o meno credibili e più o meno annoiati) sono i co-protagonisti di questo romanzo - a loro sono dedicate alcune delle pagine più belle, tutte ispirate però ad un amore incondizionato, incapace di indagare o anche solo di vedere i lati oscuri di uno stile di vita che, ad altri occhi, potrebbe apparire anche borghese e mediocre.

Amos Oz ha definito Non dire notte "una storia da tardo pomeriggio nella vita di un uomo e di una donna" e la definizione non poteva essere più azzeccata. Non solo Theo è nel tardo pomeriggio della sua vita e anche Noa non è più giovanissima - ma è proprio il ritmo del racconto ad essere pigro e lento come quello di un tardo pomeriggio estivo in cui non succede assolutamente nulla - ma ci si tormenta un po' l'anima, giusto per riempire il tempo.

lunedì 14 aprile 2008

politiche 2008



Per la prima volta nella storia della Repubblica non c'è in Parlamento alcun rappresentante di un partito comunista né socialista.

Il Pdl vince, la Lega nord rafforza la sua rappresentatività (ed è francamente ridicolo interpretare questo dato come esito di un voto di protesta, così come insistono a fare gli odierni sconfitti).

La sinistra è fuori dal Parlamento: nemmeno unite la sinistra arcobaleno e la sinistra critica supererebbero lo sbarramento del 4%. Nel concetto di "sinistra" non includo, ovviamente, il Pd che, del resto, non ha mai aspirato a tale inclusione, preferendo definire la veltroniana politica dei "ma anche" come "riformista" - termine vago, potendo le riforme ben essere retrogade e destrose - e tutto ciò nel tentativo - fallito - di sottrarre voti all'elettorato di centro-destra - i voti, invece, Veltroni li ha sottratti solo alla sinistra arcobaleno.

Chiedersi quali sono le ragioni di questa clamorosa sconfitta equivale, allora, a chiedersi anche perchè gli elettori di sinistra abbiano scelto di votare Pd - anche, ma non solo: ci sarebbe da capire altresì perchè la sinistra non riesca a conquistare nuovi elettori (specie tra i giovani).

Sicuramente ha pesato l'appello al voto utile e la fobia di una vittoria berlusconiana (che, comunque, non si è riusciti ad impedire), ma se queste ragioni hanno prevalso su altre - legate al programma, agli obiettivi e all'ispirazione politica di fondo - credo che ciò sia dipeso principalmente dall'incapacità politica e comunicativa dei dirigenti di sinistra che non sono riusciti a far presa sulla realtà sociale, a dialogare con l'elettorato, a scrollarsi di dosso la ridicola etichetta di "radicali" o "estremisti" - come se difendere diritti e proporre riforme sociali fossero attività sovversive.
La sinistra ha abdicato da tempo al suo ruolo culturale e l'odierna vittoria di berlusconi ne è il risultato - se la gente vota solo per i suoi personalissimi interessi di cortile, cosa credevi Walter, che votassero per te?
Spazzati via gli ultimi resti del glorioso PCI, adesso avremo Bossi ministro e topo Gigio all'economia - insomma, anche se Bertinotti non c'è più, gli scherzi non mancheranno

politiche 2008



Per la prima volta nella storia della Repubblica non c'è in Parlamento alcun rappresentante di un partito comunista né socialista.

Il Pdl vince, la Lega nord rafforza la sua rappresentatività (ed è francamente ridicolo interpretare questo dato come esito di un voto di protesta, così come insistono a fare gli odierni sconfitti).

La sinistra è fuori dal Parlamento: nemmeno unite la sinistra arcobaleno e la sinistra critica supererebbero lo sbarramento del 4%. Nel concetto di "sinistra" non includo, ovviamente, il Pd che, del resto, non ha mai aspirato a tale inclusione, preferendo definire la veltroniana politica dei "ma anche" come "riformista" - termine vago, potendo le riforme ben essere retrogade e destrose - e tutto ciò nel tentativo - fallito - di sottrarre voti all'elettorato di centro-destra - i voti, invece, Veltroni li ha sottratti solo alla sinistra arcobaleno.

Chiedersi quali sono le ragioni di questa clamorosa sconfitta equivale, allora, a chiedersi anche perchè gli elettori di sinistra abbiano scelto di votare Pd - anche, ma non solo: ci sarebbe da capire altresì perchè la sinistra non riesca a conquistare nuovi elettori (specie tra i giovani).

Sicuramente ha pesato l'appello al voto utile e la fobia di una vittoria berlusconiana (che, comunque, non si è riusciti ad impedire), ma se queste ragioni hanno prevalso su altre - legate al programma, agli obiettivi e all'ispirazione politica di fondo - credo che ciò sia dipeso principalmente dall'incapacità politica e comunicativa dei dirigenti di sinistra che non sono riusciti a far presa sulla realtà sociale, a dialogare con l'elettorato, a scrollarsi di dosso la ridicola etichetta di "radicali" o "estremisti" - come se difendere diritti e proporre riforme sociali fossero attività sovversive.
La sinistra ha abdicato da tempo al suo ruolo culturale e l'odierna vittoria di berlusconi ne è il risultato - se la gente vota solo per i suoi personalissimi interessi di cortile, cosa credevi Walter, che votassero per te?
Spazzati via gli ultimi resti del glorioso PCI, adesso avremo Bossi ministro e topo Gigio all'economia - insomma, anche se Bertinotti non c'è più, gli scherzi non mancheranno

lunedì 7 aprile 2008

Cuba






La Habana è una città stupenda, allegra e rilassata - il modo migliore per visitarla è quello di perdersi per le strade del centro, tra i fastosi e fatiscenti palazzi coloniali, tra i vicoli pullulanti di vita, attraversati da incredibili macchine anni '50, animati da adulti che giocano a domino e da bambini che giocano a calcio o a baseball.




Il Malecon (foto sotto) è la paseggiata sul mare: 7 kilometri dove, giorno e notte, stazionano famiglie, coppie d'innamorati, pescatori sonnolenti, giovani e meno giovani che cantano e suonano la chitarra.




La Habana Vieja è la parte storica della città e quella meglio conservata: benché decisamente turistica, è una piccola perla che merita una visita accurata. Qui si possono comprare i classici souvenir cubani: sigari, ruhm e magliette del Che.




Per chi volesse allontanarsi dai soliti itinerari turistici, consiglio un'escursione nella Chinatown habanera: nei dintorni di calle Cuchillo, calle Zanja, Avenida Italia - ma non mangiate al ristorante cino-cubano El Pacìfico - è terribile!

A una ventina di kilometri da La Habana si trova il tratto di costa noto come Playas del Este - se non avete una macchina bisogna arrivarci in taxi, il prezzo della corsa è di circa 40 cuc andata e ritorno - qui si trovano le spiagge di Santa Maria del Mar, Boca Ciega e Guanabo. Un sabato siamo andati in quest'ultima spiaggia: un carnevale nazional-popolare di giovanissimi habaneros - non brillava per igiene, ma l'atmosfera era divertente.



Per il pernottamento, la soluzione più economica è sicuramente quella delle case private ("casas particulares"): se ne possono trovare sul sito
http://www.bedincuba.com/
Noi siamo stati a casa della signora Elba: un appartamento pulito (ma quasi sempre senza acqua calda) in un palazzone stile sovietico, nel quartiere del Vedado (vicino al Malecon), con una vista davvero mirabile (vedi foto qui sotto). Fantastico anche l'ascensore.




Quanto al cibo c'è poco da fare: ai caraibi si mangia male, non esiste una vera cultura culinaria. Il ristorante migliore in cui siamo stati - o, almeno, quello che ci è sembrato avere il miglior rapporto qualità- prezzo - è sicuramente l'Hanoi, ai confini della Avana vecchia, all'angolo tra calle Brasil e calle Bernaza. Ottima l'aragosta (a 12 cuc) e anche il riso con carne, pesce e verdura (intorno ai 4 cuc).
L'ambiente è piacevole, con un patio fresco e verdeggiante, e spesso l'atmosfera è allietata da vecchi musicisti (foto).




Da l'Avana abbiamo noleggiato una macchina fino a Santa Clara, passando per playa Giron.
Il viaggio è stato un'avventura: a Cuba quasi non esistono indicazioni stradali e trovare l'autostrada (autopista) è stato tutt'altro che semplice - come è facile immaginare, nemmeno i benzinai abbondano. Data la penuria dei trasporti pubblici, per strada si incontrano numerose persone che fanno l'autostop: dare un passaggio non è affatto pericoloso e costituisce un'ottima occasione per conoscere la gente del posto (e avere indicazioni sulla strada da prendere).

Il tratto di strada che porta da Playa Larga a Playa Giron verso il tramonto si pullula di migliaia di granchi: uno spettacolo ripugnante - ed è anche pericoloso perché si rischia di bucare le gomme. Vedere per credere.





Play Giron - luogo storico della rivoluzione cubana, uno dei campi di battaglia dell'invasione del 1961 di baia dei porci (Baia de los Cochineros) appoggiata dagli U.S. e fermata dal popolo cubano- è un tranquillo villaggio affacciato su una tipica spiaggia tropicale (foto qui sotto) - per la verità le spiagge tropicali sarebbero due, ma una è stata rovinata dall'inopinata costruzione di una sorta di diga (la cui utilità mi sfugge).


Il museo di Playa Giron, dedicato alla resistenza cubana contro la tentata invasione del 1961, si visita in fretta ed è più che altro un succedersi di didascalie e oggetti d'epoca - comunque non privi di interesse. A playa Giron si può scegliere tra un albergone con piscina (dall'aria un pò triste, ma forse perché a marzo era quasi deserto) e un paio di case private che offrono anche cena e colazione (non ci sono ristoranti) - noi abbiamo optato per questa seconda soluzione e ci siamo trovati bene: sia la casa di Ana e Carlos sia Villa Merci erano pulite e confortevoli (la seconda ha anche un gradevole giardinetto) e non si è mangiato male. Sono entrambe sulla strade principale: per trovarle è bene chiedere a qualcuno del posto (la cittadina è piccola e si conoscono tutti).


A Santa Clara è d'obbligo una visita al mausoleo del Che, che sorge su un piazzale maestoso - personalmente sia il museo (un'accozzaglia di cimeli e feticci) sia il contorno in stile sovietico mi hanno lasciato parecchio perplessa, ma c'è a chi son piaciuti, per cui giudicate voi.



Una settimana a Cuba purtroppo è troppo poco: per riuscire a visitare bene il paese servirebbero almeno 15 giorni (viaggio escluso). Dicono, infatti, che la parte più bella sia quella orientale - nei dintorni di Santiago, per intenderci - da l'Havana la si può raggiungere con voli interni, ma, per chi non se la sentisse di affrontare l'emozionante avventura di un volo in Antonov, è preferibile noleggiare una macchina: il viaggio però richiede tempo, sono circa 1000 km. Sarà per la prossima volta.

francesca poggi
Un ultimo consiglio: se potete non volate con Iberia - pratica l'overbooking come filosofia, gli aerei sono vecchi, l'assistenza passeggeri nulla e il personale di bordo maleducato.


Link
Altre foto di Cuba

Due analisi (che condivido) della anomala situazione politica cubana:
Zack: Cuba va?
Teoz: La storia lo assolverà?

Le avventure, sanitarie e non, di Lazaro e Beirut a La Habana

Cuba






La Habana è una città stupenda, allegra e rilassata - il modo migliore per visitarla è quello di perdersi per le strade del centro, tra i fastosi e fatiscenti palazzi coloniali, tra i vicoli pullulanti di vita, attraversati da incredibili macchine anni '50, animati da adulti che giocano a domino e da bambini che giocano a calcio o a baseball.




Il Malecon (foto sotto) è la paseggiata sul mare: 7 kilometri dove, giorno e notte, stazionano famiglie, coppie d'innamorati, pescatori sonnolenti, giovani e meno giovani che cantano e suonano la chitarra.




La Habana Vieja è la parte storica della città e quella meglio conservata: benché decisamente turistica, è una piccola perla che merita una visita accurata. Qui si possono comprare i classici souvenir cubani: sigari, ruhm e magliette del Che.




Per chi volesse allontanarsi dai soliti itinerari turistici, consiglio un'escursione nella Chinatown habanera: nei dintorni di calle Cuchillo, calle Zanja, Avenida Italia - ma non mangiate al ristorante cino-cubano El Pacìfico - è terribile!

A una ventina di kilometri da La Habana si trova il tratto di costa noto come Playas del Este - se non avete una macchina bisogna arrivarci in taxi, il prezzo della corsa è di circa 40 cuc andata e ritorno - qui si trovano le spiagge di Santa Maria del Mar, Boca Ciega e Guanabo. Un sabato siamo andati in quest'ultima spiaggia: un carnevale nazional-popolare di giovanissimi habaneros - non brillava per igiene, ma l'atmosfera era divertente.



Per il pernottamento, la soluzione più economica è sicuramente quella delle case private ("casas particulares"): se ne possono trovare sul sito
http://www.bedincuba.com/
Noi siamo stati a casa della signora Elba: un appartamento pulito (ma quasi sempre senza acqua calda) in un palazzone stile sovietico, nel quartiere del Vedado (vicino al Malecon), con una vista davvero mirabile (vedi foto qui sotto). Fantastico anche l'ascensore.




Quanto al cibo c'è poco da fare: ai caraibi si mangia male, non esiste una vera cultura culinaria. Il ristorante migliore in cui siamo stati - o, almeno, quello che ci è sembrato avere il miglior rapporto qualità- prezzo - è sicuramente l'Hanoi, ai confini della Avana vecchia, all'angolo tra calle Brasil e calle Bernaza. Ottima l'aragosta (a 12 cuc) e anche il riso con carne, pesce e verdura (intorno ai 4 cuc).
L'ambiente è piacevole, con un patio fresco e verdeggiante, e spesso l'atmosfera è allietata da vecchi musicisti (foto).




Da l'Avana abbiamo noleggiato una macchina fino a Santa Clara, passando per playa Giron.
Il viaggio è stato un'avventura: a Cuba quasi non esistono indicazioni stradali e trovare l'autostrada (autopista) è stato tutt'altro che semplice - come è facile immaginare, nemmeno i benzinai abbondano. Data la penuria dei trasporti pubblici, per strada si incontrano numerose persone che fanno l'autostop: dare un passaggio non è affatto pericoloso e costituisce un'ottima occasione per conoscere la gente del posto (e avere indicazioni sulla strada da prendere).

Il tratto di strada che porta da Playa Larga a Playa Giron verso il tramonto si pullula di migliaia di granchi: uno spettacolo ripugnante - ed è anche pericoloso perché si rischia di bucare le gomme. Vedere per credere.





Play Giron - luogo storico della rivoluzione cubana, uno dei campi di battaglia dell'invasione del 1961 di baia dei porci (Baia de los Cochineros) appoggiata dagli U.S. e fermata dal popolo cubano- è un tranquillo villaggio affacciato su una tipica spiaggia tropicale (foto qui sotto) - per la verità le spiagge tropicali sarebbero due, ma una è stata rovinata dall'inopinata costruzione di una sorta di diga (la cui utilità mi sfugge).


Il museo di Playa Giron, dedicato alla resistenza cubana contro la tentata invasione del 1961, si visita in fretta ed è più che altro un succedersi di didascalie e oggetti d'epoca - comunque non privi di interesse. A playa Giron si può scegliere tra un albergone con piscina (dall'aria un pò triste, ma forse perché a marzo era quasi deserto) e un paio di case private che offrono anche cena e colazione (non ci sono ristoranti) - noi abbiamo optato per questa seconda soluzione e ci siamo trovati bene: sia la casa di Ana e Carlos sia Villa Merci erano pulite e confortevoli (la seconda ha anche un gradevole giardinetto) e non si è mangiato male. Sono entrambe sulla strade principale: per trovarle è bene chiedere a qualcuno del posto (la cittadina è piccola e si conoscono tutti).


A Santa Clara è d'obbligo una visita al mausoleo del Che, che sorge su un piazzale maestoso - personalmente sia il museo (un'accozzaglia di cimeli e feticci) sia il contorno in stile sovietico mi hanno lasciato parecchio perplessa, ma c'è a chi son piaciuti, per cui giudicate voi.



Una settimana a Cuba purtroppo è troppo poco: per riuscire a visitare bene il paese servirebbero almeno 15 giorni (viaggio escluso). Dicono, infatti, che la parte più bella sia quella orientale - nei dintorni di Santiago, per intenderci - da l'Havana la si può raggiungere con voli interni, ma, per chi non se la sentisse di affrontare l'emozionante avventura di un volo in Antonov, è preferibile noleggiare una macchina: il viaggio però richiede tempo, sono circa 1000 km. Sarà per la prossima volta.

francesca poggi
Un ultimo consiglio: se potete non volate con Iberia - pratica l'overbooking come filosofia, gli aerei sono vecchi, l'assistenza passeggeri nulla e il personale di bordo maleducato.


Link
Altre foto di Cuba

Due analisi (che condivido) della anomala situazione politica cubana:
Zack: Cuba va?
Teoz: La storia lo assolverà?

Le avventure, sanitarie e non, di Lazaro e Beirut a La Habana

venerdì 4 aprile 2008

Dick, Next e altri racconti

"Tutto quello che posso dire è: spero con tutto il cuore che questa non sia la razza futura"



Next e altri racconti (Fannucci editore, 2008) raccoglie 6 racconti di Philip K. Dick da cui sono state tratte altrettante pellicole cinematografiche.
Questa pubblicazione costituisce essenzialmente un'operazione di marketing finalizzata a pubblicizzare il film Next (regia di Lee Tamahori), di prossima uscita in Italia, ma rappresenta comunque una buona occasione per (ri)leggere alcuni dei migliori racconti di Dick.

Al centro di Next (titolo originale: The Golden Man) vi è, non solo e non tanto il tema della mutazione genetica e della precognizione (due topos ricorrenti nell'immaginario dickiano), quanto piuttosto quello dell'estinzione della specie umana e della sua sostituzione con una razza differente.
Lo stesso tema si ritrova anche in Modello Due (titolo originale: Second Variety), dove, in un mondo devastato dalla guerra, emergono dei micidiali androidi che annienteranno quel che resta dell'umanità.
In entrambe le vicende, sono gli stessi uomini a "creare", sia pure inconsapevolmente, gli esseri che li rimpiazzeranno: il mutante precognitivo e antropomorfo di Next è un prodotto delle radiazioni atomiche, così come gli androidi di Modello Due sono costruiti da macchine create dagli americani per sterminare i loro nemici. Mentre in Next uno dei fulcri dell'invenzione letteraria consiste nella distanza che ci separa dalla possibile futura razza dominante - il mutante umano, apparentemente così simile a noi, è in realtà molto diverso (e non solo per la carnagione dorata, l'aspetto piacente e i poteri precognitivi) - in Modello Due, al contrario, una delle invenzioni di Dick consiste nell'immaginare che gli androidi (un insieme di bulloni e metallo) ci assomiglino più di quanto gli convenga - e in questa somiglianza si celano i germi della loro stessa estinzione.



Ricordiamo per voi (titolo originale: We Can Remember It For Your Wholesale) e Impostore (titolo originale: Impostor) sono, invece, accomunati dal tema della fragilità e dell'incertezza dell'identità personale, fondata com'è unicamente su ricordi manipolabili.
Tra tutti i film tratti dalle opere di Dick, Impostor (regia di Gary Fleder) è forse uno dei più riusciti e, soprattutto, dei più fedeli e aderenti al testo dickiano.
Lo stesso non si può certo dire di Atto di forza (Total Recall, regia di Paul Verhoeven), ispirato a Ricordiamo per voi, che, pur essendo un gradevole film d'azione, non conserva né la trama né lo spirito del racconto di Dick - a differenza di Minority Report che, quanto meno, non si allontana troppo dai classici temi dickiani.



Rapporto di minoranza (titolo originale: The minority report) è incentrato sul tema e i paradossi legati alla precognizione e alla sua incidenza sul futuro, nonché sul problema del controllo sociale e del rischio costante di dittature militari - gli stessi argomenti che si ritrovano anche ne I labirinti della memoria (titolo originale: Paycheck), sebbene qui siano svolti in modo più superficiale e meno problematizzato.




In questo blog su Dick si può leggere anche una recensione al romanzo E Jones creò il mondo