martedì 8 luglio 2008

Profumo, storia di un assassino


Regia di Tom Tykwer
titolo originale: Das Parfum - Die Geschichte eines Mörders
Germania/Spagna/Francia/Usa 2006
2h e 27'




Recensione di Giorgio Maniaci

Noi siamo ciò che sentiamo. Anzi, noi siamo gli “odori che sentiamo”.
Gli odori, i profumi non sono una sensazione passeggera che lambisce i recettori olfattivi, il cervello, la memoria per poi scomparire. Gli odori influenzano il nostro modo di vedere le cose, i nostri giudizi su ciò che è vero e falso, ciò che è giusto e sbagliato, ciò che è bello o brutto. Non solo la ragione è schiava delle passioni, ma tutte le passioni, i sentimenti sembrano ruotare intorno ai profumi che percepiamo, compreso l’amore.
Questa sembra essere la Weltanschauung di fondo, implicita, nascosta, di feuerbachiana memoria, di “Profumo – Storia di un assassino” di Tom Tykwer.

Il film narra la storia di Jean-Baptiste Grenouille (un bravissimo Ben Whishaw), vissuto nella Francia del XVIII secolo come uno schiavo, senza amore, istruzione, dignità, educazione morale.

Angelo e demone, uomo e “animale”, genio e assassino, Jean-Baptiste scopre ben presto di essere dotato di un dono straordinario: è capace di sentire odori a chilometri di distanza, di percepire olezzi che nessuno sente, di distinguere un profumo di arancio tra mille miasmi puzzolenti, di distillare profumi che elevano lo spirito umano fino al paradiso.

Ma una maledizione lo tormenta fin dal giorno della nascita. Nessuno, infatti, che sia venuto in contatto con lui rimane vivo. A cominciare da sua madre, impiccata, per avere tentato di ucciderlo, dopo averlo dato alla luce. Apparentemente incapace di amare e soprattutto di essere amato – Grenouille non emana alcun odore e nessuno riesce ad amarlo, a desiderare chi è olfattivamente “invisibile” – Grenouille sembra avere una sola ossessione, quella di catturare, conservare l’odore, l’essenza delle fanciulle amate, desiderate. Anche a costo di rapire e uccidere l’oggetto del suo desiderio, trasformandosi in un pericoloso serial-killer.




Inseguendo la sua ossessione, infatti, Grenouille distilla dal corpo di tredici bellissime fanciulle altrettante essenze, tredici note che mischiate insieme danno vita ad un profumo paradisiaco, alchemico, capace di tramutare l’odio feroce di un padre (Alan Rickman), cui ha ucciso la figlia (la bellissima Rachel Hurd-Wood), in devozione, la rabbia in dolcezza, il terrore in serenità. Capace di tramutare una massa urlante di odio e vendetta che vuole vederlo giustiziato, una massa intrisa di ignoranza, superstizione, e pregiudizi d’ogni genere, in un’orgia dionisiaca, una marea di eccitazione, passione e amore incondizionato cui non importa l’età, il sesso, l’abito della persona amata o desiderata.

Come Prometeo, Grenouille è un “traghettatore”, un angelo decaduto che vive in due mondi, quello dei comuni mortali, e il mondo degli odori, del loro potere, dei sentimenti, delle sensazioni che sono capaci di suscitare, un Prometeo capace di portare agli uomini non il fuoco che forgerà le spade, piuttosto un nettare capace di sciogliere i lacci che in ciascun uomo legano il bene al male, affinché il male – la violenza, l’odio – venga oscurato, cacciato, sconfitto, e l’amore incondizionato trionfi.
E proprio l’amore, la passione amorosa, il desiderio irresistibile e sempre frustrato di amare ed essere amato, sembrano portare Grenouille alla realizzazione del suo piano demoniaco.




Non era facile per il regista Tom Tykwer tradurre in immagini il segreto mondo degli odori abitato da Grenouille. Ma il regista di Lola corre è in questo abilissimo e lo fa ora attraverso un montaggio rapido, vorticoso – mirabile in tal senso la scena del mercato del pesce di Parigi – fatto di zoommate, ralenti, blow up su merluzzi fatti a pezzi, maiali sgozzati, parrucche incipriate, teste di pesce tagliate, incunaboli sfogliati, profumi ostentati, conigli scuoiati, frutta barocca, mele marce, topi che rovistano nella carne, spezie colorate, ubriachi che vomitano, coltelli che tagliano il cuoio…

Ora attraverso lenti e continui movimenti di macchina, accompagnati da una musica celestiale (in parte scritta dallo stesso Tykwer), leggeri come un alito di vento che si sparge sui corpi delle ragazze uccise, i corpi su cui meticolosamente Grenouille sparge e poi estrae grasso animale per prendere il loro odore, movimenti che come brezza planano su mille bocche, mani, braccia, baci, carezze, rotondità nell’orgia sterminata di corpi e colori.




Non sembra, in conclusione, che in un film in cui dominano – letteralmente – le passioni, le sensazioni, che celebra il potere della materia sullo spirito, del corpo sulla mente, ci sia posto per una “morale”.
Ma l’apparenza inganna. Poiché ad uno spettatore attento non può sfuggire la cronaca di un mondo (fortunatamente) perduto e colpevole, dove la ricerca della verità è intrisa di tortura e superstizione religiosa, dove l’amore paterno si trasforma in oppressione, dove nascono e crescono centinaia di schiavi senza passato né futuro, capaci di uccidere per un nonnulla, né può sfuggire lo sguardo malinconico di una ragazza, la tredicesima vittima, che preferisce rassegnarsi alla morte violenta per mano di Grenouille, piuttosto che seguire un destino di schiavitù voluto dal padre in un matrimonio infelice e senza amore.

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