lunedì 3 marzo 2008

Wallace, Verso occidente l'impero dirige il suo corso

"La metafiction è come una coppia di innamorati che non fanno l'amore.
Che baciano ciscuno la propria spina dorsale.
Che si scopano da soli
"





In questo romanzo di David Foster Wallace non succede praticamente nulla: al limite è successo o succederà qualcosa - come apprendiamo da qualche personaggio o, più spesso, dalla voce dell'onnipresente narratore che interviene costantemente ad interrompere la vicenda, non solo per fornirci particolari o retroscena, ma anche e più spesso per improvvisare discussioni letterarie, relative ad esempio al neorealismo, alla metafiction, e alla necessità di un loro superamento. Cosa che potrà essere anche interessante per uno studente di letteratura americana all'ultimo anno, ma è mortalmente soporifera per il lettore delle 21.30.

Del resto Verso occidente l'impero dirige il suo corso si presenta esplicitamente come un esercizio di stile: una sorta di cover del racconto Lost in the Funhouse di John Barth (fuori commercio nella traduzione italiana).
Da Barth Wallace prende non solo alcuni personaggi - Madga e Ambrose (che incarnano, entrambi, lo stesso Barth) ma anche e soprattutto lo stile: le continue interruzioni del narratore a commento della sua stessa narrazione.

Ma se Barth aveva l'attenuante dell'originalità, Wallace non ha proprio scuse per questo racconto da corso di scrittura creativa (lo stesso cui partecipano due dei suoi personaggi), saccente e compiaciuto, tutto all'insegna del "Guarda mamma, senza mani!" - e il fatto che ne sia perfettamente consapevole costituisce semmai un'aggravante.

Insomma, questo romanzo di Wallace mi ha proprio deluso: ben diversamente da Una cosa divertente che non farò mai più che, invece, mi ha entusiasmato (e ucciso dalle risate)

2 commenti:

SubliminalPop ha detto...

Forse dal post non si evince molto, ma sono d'accordo con te (tranne per l'irritante).

Leo Bulero ha detto...

Io invece l'ho trovato esaltante, c'è un susseguirsi di rivelazioni e piccoli rimandi che fanno piegare la narrazione su se stessa in una spirale infinita (i vari cinesi in gruppo,rose fritte ecc.) un'apertura a decine di conclusioni e possibili intuizioni e un amore nelle parole che non si trova facilmente.
Devo ammettere, il finale lascia un pò di amaro, o meglio non è quello che ci si aspetta ma Wallace non vuole darci una replica di un telefilm ispirato al vietnam.

Senza dubbio è strano, ammetto che può essere odiabilissimo, amare o odiare la condanna dei grandi.