mercoledì 26 settembre 2007

M. Ignatieff, Una ragionevole apologia dei diritti umani


"la moralità umana in generale e i diritti umani in particolare
rappresentano un tentativo sistematico
di correggere e contrastare le tendenze naturali
che abbiamo scoperto in noi stessi in quanto esseri umani"





Il testo si compone di due saggi.
Il primo saggio, I diritti umani come politica,
contiene una serie di riflessioni, piuttosto frammentarie,
sulla tutela internazionale dei diritti e
sui rapporti tra i diritti umani, da un lato,
sovranità statale, integrità territoriale e democrazia, dall'altro.
Nel complesso questa prima parte mi è parsa piuttosto deludente:
Ignatieff oscilla tra ragionevoli banalità e
tesi spesso opinabili e sempre poco argomentate.

In particolare, è discutibile l'idea secondo cui l'intervento a
(presunta) difesa dei diritti umani
debba ispirarsi allo stesso principio del consenso informato
che si applica in campo medico:
stante, infatti, l'impossibilità di accertare l'effettivo consenso
da parte della popolazione coinvolta,
in campo internazionale un simile principio non potrebbe che tradursi
in una presunzione di consenso, che aprirebbe surrettiziamente il campo a considerazioni di matrice paternalistica
opposte al principio medico del consenso informato
- il quale si è affermato proprio per evitare che
i medici scelgano al posto dei pazienti (sia pure nel loro interesse) -

Più in generale, il favore di Ignatieff per l'intervento armato appare in
netto contrasto con la tesi secondo cui
"I governi che concedono sicurezza ai propri cittadini
senza democrazia sono preferibili all'assenza totale di governo" (p. 40),
posto che egli stesso ammette che,
fino ad oggi, tali interventi non hanno prodotto che anarchia
e nuove forme di oppressione
- nè Ignatieff è in grado di articolare
alcuna proposta concreta per evitare che ciò possa ripetersi in futuro.

Il secondo saggio, Diritti umani come idolatria, affronta
la critica secondo cui i diritti umani non rappresentano altro che
una giustificazione dell'imperialismo morale occidentale,
un'ideologia che legittima il capitalismo globale.

A questa critica Ignatieff oppone l'esigenza di una teoria leggera dei diritti umani,
che prescinda da qualsiasi idea di natura umana,
si fondi su una giustificazione prudenziale e
non pretenda di imporre una data concezione del bene, ma si limiti a definire
le condizioni minime di vita.

Al riguardo, però, se è vero che una giustificazione minimalista dei diritti umani
- che rigetti ogni fondazione di tipo giusnaturalistico - sembra in grado
di conciliare l'universalismo con il pluralismo culturale e morale,
non si vede perchè una simile giustificazione debba sfociare in un catalogo di diritti
anch'esso minimalista e, per di più, di matrice esclusivamente liberale.
A mio giudizio, l'individualismo morale che, secondo Ignatieff, caratterizza i diritti
in quanto strumenti per tutelare l'individuo contro l'oppressione di determinati gruppi
(lo stato, la famiglia, la religione, ecc.),
non è affatto estraneo ai diritti sociali. Mi spiego.

Storicamente l'individualismo si lega
ai diritti negativi della tradizione liberale,
mentre la nascita dei diritti sociali
si accompagna all'apparizione dei grandi movimenti di massa.
Tuttavia anche i diritti sociali possono essere ricostruiti in chiave individualistica:
è un interesse primariamente individuale quello di avere una casa,
essere curati in caso di malattie, ecc.
A simili diritti poi non è affatto estranea la dimensione del conflitto:
anch'essi costituiscono dei mezzi per difendere l'individuo contro gruppi di oppressione -
specie di carattere economico.

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