mercoledì 3 settembre 2008

Roth, everyman


"La vecchiaia non è una battaglia: la vecchiaia è un massacro"




Everyman di Philip Roth è un romanzo bellissimo e terribile per la stessa ragione: perché racconta una storia universale, la storia di ogni uomo o, almeno, di quelli tra noi che hanno avuto e che avranno la fortuna di invecchiare.

L'avevo già notato in Pastorale americana, che per altri versi non mi aveva entusiasmato, quanto Roth fosse bravo a descrivere la condizione senile, "quell'assalto furibondo e inevitabile che è la fine della vita" (p. 106) e che qui diventa il tema centrale su cui si impernia la narrazione.

La vecchiaia, la malattia che l'accompagna, il dolore fisico e il senso di alterità verso un corpo che si stenta a riconoscere come il proprio, le giornate vuote e la fatica di riempire il tempo, i rimorsi e i rancori per ciò che si è fatto, perchè si è diventati quello che non si è mai voluto essere, ma soprattutto il rimpianto per ciò che non si può più fare, per quello che non si può più avere (l'amore e la passione, in primis) e la nostalgia della gioventù, dei tempi in cui ci si sentiva immortali.

La fine non è a sorpresa (il libro inizia con il funerale del protagonista), perchè la fine della nostra vita non lo sarà, è già scritta ed è scritta proprio con le parole con cui termina questo romanzo:
"Non esisteva più, era stato liberato dal peso di esistere, era entrato nel nulla senza nemmeno saperlo. Proprio come aveva temuto dal principio" (p. 123).

Lontano da stereotipi e luoghi comuni, impermeabile ad ogni tentazione moraleggiante, alieno da facili consolazioni o illusioni assolutorie (specie di stampo religioso), ma non per questo patetico o lacrimoso, in questo stupendo romanzo Roth riesce nel difficilissimo compito di rappresentare la "nuda vita", l'esistenza umana per quello che è.

Mi consolo al pensiero che l'alternativa è morire giovani.

4 commenti:

Teoz ha detto...

Mi associo in toto al tuo entusiasmo per Everyman che ho letto in una notte un paio di mesi fa. E' angosciante e consolatorio allo stesso tempo. Le ragioni dell'angoscia le hai spiegate tu molto bene. Quelle della consolazione sono nel fatto che nonostante tutto il protagonista preferisce andare avanti, é attaccato alla vita, alle sue illusioni ed alle (forse poche) cose che ancora puo' dare.
Penso che sarà molto difficile che "Everyman" venga scalzato dal provvisorio primo gradino del podio del "Libro d'oro" 2008...

ez ha detto...

e allora posso dire io una cosa su questo libro, che mi è piaciuto ma non entusiasmato?
il protagonista mi è visceralmente antipatico, e i suoi problemi mi sembrano quelli tipici di un borghese egoista e benpensante, incapace di amare ma anche di starsene da solo, che non da nulla e pretende molto.
a me non è la vecchiaia in se che mi fa paura, mi spaventa la malattia e il dolore, quello fisico non quello esistenziale.
e poi una cosa che non farò mai se diventerò un vecchio pensionato è andare a vivere in un posto dove ci sono solo vecchi pensionati che aspettano la morte, per forza che uno poi si deprime.
vorrei aggiungere una riflessione filosofica, si dice che la vecchiaia è brutta perché senti la morte vicina. ma la morte è sempre vicina a noi a prescindere dall'età, è li che ti alita sul collo sin dall'età di sei anni, quando ti rendi conto per la prima volta che non sei un essere immortale.

Teoz ha detto...

Quanti protagonisti antipatici in libri entusiasmanti ? Uno su tutti, il Capitano Achab.

donata ha detto...

condivido completamente il giudizio di matteo