mercoledì 13 febbraio 2008

Hirsi Ali, Infedele


Infedele di Ayaan Hirsi Ali è un'autobiografia avvincente e interessante - due qualità rare in questo genere letterario, perché parlare di sè e della propria vita non è mai semplice, ma Hirsi Ali riesce a farlo in modo coinvolgente, con una scrittura asciutta ed essenziale.

Cresciuta tra la Somalia, l'Arabia Saudita, l'Etiopia e il Kenya, nel 1992 Ayaan Hirsi Magan giunge a Francoforte, in attesa di un visto per il Canada, dove avrebbe dovuto congiungersi con l'uomo che suo padre le aveva fatto sposare. E invece fugge in Olanda, dove ottiene lo status di rifugiato politico col nome di Ayaan Hirsi Ali e dove 10 anni dopo verrà eletta in parlamento.

Un ritratto vivido della società africana e in particolare, di quella somala, con la sua rigida organizzazione per clan, la sua segregazione sessuale, il suo sincretismo religioso progressivamente soppiantato da un islam più radicale e intransigente.

Non mancano aspetti controvertibili.
Innanzitutto, mi sembra altamente discutibile l'atteggiamente di Hirsi Ali nei confronti degli attetanti terroristici e, in particolare, di quelli dell'11 settembre, visti esclusivamente come atti di fede: come la manifestazioni dell'essenza di una religione, l'Islam, votata alla violenza e allo sterminio degli infedeli - quasi che non avessero anche un valore politico e di rivolta sociale (ipotesi queste che Hirsi Ali scarta come frutto di ignoranza sulla realtà del mondo islamico - così, forse, confondendo esperienza e conoscenza: due concetti che non necessariamente viaggiano in tandem).

Hirsi Ali è poi estremamente critica nei confronti della politica multiculturalista olandese che, finanziando le istituzioni culturali e religiose islamiche, consente alla comunità mussulmana di vivere separatamente, rifiutando ogni integrazione con la società occidentale, e perpetrando abusi, violenze e discriminazioni contro donne e ragazze.
Si tratta di un problema reale e drammatico: fino a che punto tollerare gli intolleranti?
L'atteggiamento dell'autrice, però, appare un pò troppo semplicistico: nella sua vita passa (non senza drammi e crisi di coscienza) dall'intolleranza dell'integralista islamica all'intolleranza contro gli islamici - embrambe accomunate dallo stesso atteggiamento di fondo: quello di chi, convinto di posseder una verità morale, vuole imporre i propri valori a tutti coloro che non li condividono.

Intendiamoci: non tutti i valori stanno sullo stesso piano, non tutti sono ugualmente condivisibili e, soprattutto, violenze e mutilazioni non sono valori affatto, bensì reati.
Tuttavia c'è una bella differenza tra il voler proibire atti criminali e il condannare in toto la cultura islamica.

Ciò che più impressiona nei racconti di Hirsi Ali è la totale mancanza del senso dell'ingiustia, specie da parte dei soggetti oppressi - proprio le donne sono le prime a perpetrare atteggiamenti sessisti e di intransigenza religiosa: vittime e carnefici di una società che non conosce alcuna eguaglianza, che isola e abbandona chiunque devii dalla morale dominante o che, semplicemente, cada vittima della violenza altrui.
Sotto questo profilo non si può che appoggiare l'impegno di Hirsi Ali a favore di una campagna diretta alla presa di coscienza delle donne islamiche (senza dimenticare, però, che queste non rappresentano certo l'unico gruppo femminile vittima di discriminazioni).

L'infedele ha vinto il libro d'oro 2007 - onestamente, pur considerandolo una lettura piacevole e istruttiva, non mi sento però di condividere il parere entusiastico di Teoz (Matteo Z).

2 commenti:

Teoz ha detto...

Ciao Fra, sono contento che tu abbia letto il libro e che ci sia modo di discuterne.

Sono abbastanza d'accordo con alcuni dei tuoi commenti ed in modo particolare a quelli sulle opinioni di Hirsi Ali sull'11 Settembre.

Come giustamente dici il libro pone in tutta la sua drammaticità un problema chiave delle società multiculturali liberali (vorrei dire libere, ma forse é troppo) ovvero quello della "tolleranza nei confronti degli intolleranti". E' un problema che si pone nei confronti dei gruppi religiosi (e degli islamici in particolare) ma anche in altri contesti (penso per esempio al separatismo violento basco in Spagna). Nei confronti di questo interrogativo io ho sempre avuto un atteggiamento improntato alla massima tolleranza con poche eccezioni (anti-semitismo, nazismo, fascismo) dovute per lo piu' all'eredità che il recente passato ha lasciato a noi europei. Il libro di Ayan invece - questo uno dei suoi grandissimimi pregi -ha scosso profondamente questa mia convinzione e mi ha instillato tantissimi dubbi che poi sono l'humus del libero pensiero.

E' apparentemente semplice e giusto separare reati(multilazioni, violenze ma anche segregazione, oppressione) e valori. Ma cosa fare quando sono proprio i valori a giustificare e a spingere a commettere i reati ?

Infine vorrei aggiungere che secondo me il libro é scritto benissimo ed ha un grande valore letterario. E' splendido il racconto dell'infanzia a Mogadiscio della vita in Arabia Saudita ed in Kenya, dello stupore e del disorientamento della protagonista al suo arrivo in Olanda. E' crudelmente drammatico ma senza fronzoli quello della mutilazione sessuale subita da Ayan e dalla sorella piu' piccola.

Un gran libro (e sotto lineo la parola LIBRO), un libro d'oro...

zack ha detto...

Ma cosa fare quando sono proprio i valori a giustificare e a spingere a commettere i reati ?

In linea di massima direi non sono i valori ma sono le persone (o meglio chiunque abbia un potere da gestire e da difendere, dai padri di famigli fino ai governi) che utilizzano certi valori per giustificare e spingere a commettere reati e violenze.

Questo succede con l'Islam e tutte le religioni. E' successo con il marxismo, succede anche con il liberalismo (come inquadrare altrimenti i massacri perpetrati in nome della civiltà occidentale in Vietnam, in Palestina e in Iraq?).

Riguardo al libro, non l'ho letto, ma mi pare stralegittima la rabbia dell'autrice contro l'Islam.

Certo che visto dall'Italia vaticana, il modello olandese non sembra così malvagio. Non sarà anche grazie a quel modello basato sulla tolleranza di tutti i credi che molte persone in fuga dall'oppressione trovano ospitalità e danno una svolta positiva alla propria vita?