sabato 19 gennaio 2008

Strawson, Analysis and Metaphysics




Analysis and Metaphysics (1992) costituisce probabilmente uno dei capolavori della filosofia (non solo analitica): Strawson (1919-2006) ha la straordinaria e rarissima capacità di coniugare semplicità di esposizione e profondità di analisi.

In questo libro sono raccolte alcune delle lectures che Strawson tenne a Oxford tra il 1968, quando successe a Ryle sulla cattedra di Metafisica, fino al 1987, anno del suo ritiro dall'insegnamento per raggiunti limiti di età: in esse egli articola la sua concezione generale della filosofia come analisi concettuale, mostrandone le relazioni con le tradizioni discipline dell'ontologia, della logica e dell'epistemologia.

Secondo Strawson il lavoro del filosofo consiste nel «produce a systematic account of the general conceptual structure of which our daily pratice shows us to have a tacit and unconscious mastery» (p. 7). Al fine di elaborare una simile conoscenza teorica dei concetti che usiamo abitualmente, di esplicitare i principi che guidano la nostra pratica, Strawson ritiene che la strada più promettente consista nel rifiuto di ogni analisi riduzionista, a favore di un modello (denominato 'connective model', p. 21) che consista piuttosto nel chiarire (to elucidate) le relazioni tra i nostri concetti e lo spazio, il ruolo, che essi occupano all'interno del nostro complesso sistema, network, concettuale.

Ciò non significa rinunciare all'idea di concetti fondamentali: tali sono i concetti altamente generali, irriducibili (ma non per questo semplici) e non contingenti (essenziali, ai fini dell'intelleggibilità della nostra esperienza come esseri coscienti). L'oggetto primario dell'analisi deve consistere proprio nel tracciare le principali linee di connessione e interdipendenza che legano tali concetti all'interno della nostra generale struttura di pensiero.
Assumere come oggetto d'analisi il nostro modo di pensare non significa, però, trascurare la realtà, il mondo così come davvero è. Al contrario.

In primo luogo, per rispondere alla domanda su quali siano le categorie più generali nei cui termini organizziamo la nostra esperienza del mondo e come siano tra loro collegate, dobbiamo rispondere anche, incidentalmente, alla domanda su come concepiamo il mondo, su quale sia la nostra ontologia di base.
La questione ontologica è, poi, strettamente intrecciata con la logica: questa sembra rappresentare un buon modello per indagare la struttura generale del nostro pensiero, ma, in logica, non esistono retrizioni ai tipi di item che possono essere specificati da un nome o da un termine singolare definito all'interno di una proposizione semplice. L'ontologia deve, pertanto, intervenire per operare simili restrizioni, per riempire la struttura astratta della logica.
(Tra parentesi: il § 3, Moore and Quine, è altamente raccomandato a tutti coloro che, come me, sono sempre rimasti perplessi di fronte alla tesi di Quine secondo cui 'esistere' è essere il significato di una variabile vincolata).

In secondo luogo, «the very concepts in term of which we form our primitive or fundamental or least theoretical beliefs get their sense for us precisely as concepts which we should judge to apply in possibile experience situations» (pp. 52-3). Questa, per Straswon, è la tesi principale dell'empirismo: i nostri concetti sono vuoti, non giocano alcun ruolo conoscitivo, se non in relazione a una possibile esperienza. L'epistemologia, la teoria della conoscenza, assume pertanto un ruolo rilevante nell'analisi concettuale e l'esperienza costituisce sicuramente un'importante fonte di conoscenza.
La caratteristica principale della nostra esperienza consiste, a giudizio di Strawson, nell'essere un'esperienza in e di un mondo oggettivo spaziale e temporale: un'esperienza di oggetti individuali (particolari) distinti spazio-temporalmente. Proprio questi sono i fondamentali oggetti di riferimento e i fondamentali soggetti di predicazione.

Accettare la tesi principale dell'empirismo
non significa comunque accettarne l'intera dottrina: Strawson critica sia i tentativi delle dottrine empiriste di ridurre o derivare la struttura generale delle nostre idee da stati soggettivi concepiti come impressioni o immagini di qualità sensoriali semplici (§ 6, Classical Empiricism) sia, in particolare, la nota tesi di Hume sulla causalità (§ 9, Causation and Explanation). Al riguardo, Strawson, predilige piuttosto un'impostazione kantiana:
«the concept of causal efficacy is not derived from experience of a world of object, but is a presupposition of it; or, perhaps better, is already with us when anything which could be called ‘experience’ begins» (p. 124).
Ciò, conformemente alla tesi generale che riconosce una stretta compenetrazione tra i concetti che impieghiamo nei nostri giudizi percettivi e la nostra esperienza del mondo: i nostri concetti sono vuoti se non possiamo relazionarli, direttamente o indirettamente, con la nostra esperienza, con le condizioni per la loro applicazione; ma anche il carattere della nostra esperienza è permeato dai concetti impiegati nei nostri giudizi percettivi. «The concepts which are necessary for the experience description are precisely those which are necessary for the world description» (p. 63).

I saggi di cui ai §§ 7 (Truth and Knowledge) e 8 (Meaning and Understanding) sono dedicati a due tradizionali problemi della filosofia del linguaggio: la teoria della verità e il problema di spiegare l'illimitata capacità umana di apprendimento linguistico. Anche rispetto a tali temi, il metodo di Strawson si sostanzia nel partire dalle caratteristiche della nostra esperienza, che, come visto, sono anche le caratteristiche del nostro schema concettuale.

Infine nel § 10 (Freedon and Necessity), forse uno dei saggi più complessi tra quelli raccolti nel volume, Strawson tenta di dissolvere, piuttosto che risolvere, il problema del libero arbitrio: nonostante le molte considerazioni di buon senso, non so però fino a che punto un simile tentativo possa dirsi riuscito - al termine della lettura l'impressione è che il senso di libertà che sperimentiamo giornalmente e che, di certo, costituisce una delle caratteristiche distintive della nostra comprensione e autocomprensione, rimanga un'assunzione ingiustificata.




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